Recensione Inception (2010)

Quello che colpisce, nel lavoro di Nolan, è il rigoroso controllo della narrazione, l'abilità nel gestire una sceneggiatura complessa, che certo richiede attenzione allo spettatore ma alla fine risulta costruita, nel suo gioco a incastro, in modo impeccabile.

La grammatica dei sogni

Tra i film che, nelle ultime stagioni cinematografiche, hanno suscitato l'hype delle grandi occasioni, mettendo d'accordo grande pubblico e cinefili in un'attesa spesso spasmodica, Inception ha un posto tutto speciale. Il motivo di tanta attesa, fatta di trailer, frammenti di trama, ipotesi, controipotesi e paragoni (fin troppo) azzardati, è intuibile: oltre all'uscita di un blockbuster fantascientifico con un soggetto accattivante e un cast di alto livello (all'instancabile Leonardo DiCaprio si aggiungono nomi affermati come Joseph Gordon-Levitt, Marion Cotillard e Cillian Murphy, oltre ai veterani Michael Caine e Tom Berenger), siamo di fronte a un progetto che per un regista come Christopher Nolan ha una valenza molto particolare. Il precedente Il cavaliere oscuro, infatti, oltre a sbancare i botteghini di mezzo mondo, aveva dato la definitiva conferma di un autore di genere come ce ne sono pochissimi nel cinema hollywoodiano, capace di creare un comic movie totalmente immerso in un'atmosfera noir sporca, decadente, di un realismo quasi nichilista, frutto di una personale e rigorosa rielaborazione di decenni di cinema classico. Ora, con un grande budget e una libertà realizzativa pressoché totale, Nolan ha potuto proporre al pubblico la sua opera più personale, nata da una sceneggiatura (la prima da lui interamente scritta) iniziata dieci anni fa, quando il successo di Matrix era ancora recente e un certo tipo di science fiction cinematografica stava appena iniziando a riprendersi la sua fetta di pubblico.

Paradossalmente è un bene che un film come questo arrivi solo adesso, quando la saga dei fratelli Wachowski ha già generato la sua bella serie di epigoni e imitatori, e di mondi più o meno paralleli al cinema ne abbiamo già visti molti: nel decennio scorso, infatti, una pellicola come quella di Nolan avrebbe finito forse per confondersi nel mucchio, impossibilitata a far emergere i suoi tratti differenzianti, non ancora sorretta dal credito di cui il suo autore gode attualmente. Nonostante un trailer che volutamente mette in evidenza i suoi momenti più adrenalinici e legati ad un'estetica classicamente sci-fi, Inception è infatti un'opera ben più complessa, la cui base di partenza è quella di una spy story con un protagonista tormentato e in fuga da tutto e tutti, compresi (soprattutto) i propri fantasmi. Pur essendo il film ambientato in un futuro imprecisato, l'unica differenza che vediamo tra la società da esso rappresentata e quella odierna è la possibilità di esplorare i sogni altrui, motivo che consente alla componente più immaginifica della pellicola di esprimersi in tutta la sua visionarietà. Preme comunque sottolineare che il regista dà al film, ancora una volta, un contorno e un'anima da noir, in cui il centro tematico è rappresentato dal subconscio del protagonista, vera variabile determinante da cui si dipaneranno gli sviluppi narrativi più importanti.
E' in effetti proprio il subconscio, catturato nel suo luogo di elezione preferito (il mondo dei sogni) il tema che la sceneggiatura vuole approfondire, affrontandolo però da un punto di vista inedito. Nolan sceglie infatti di imporre una forma, una vera e propria grammatica, all'universo più fluido che si possa immaginare, rendendolo coerente e (credibilmente) filmabile. Non cerca, il regista, di portare sullo schermo l'assenza di logica e la materia sfuggente e instabile dei sogni: quello, il cinema l'ha già fatto tante, forse troppe volte, e in questo campo si sa che il già visto è sempre in agguato. Paradossalmente, pur essendo in gran parte ambientato all'interno delle creazioni oniriche dei personaggi, Inception è tutto meno che un film realmente onirico: la scommessa di Nolan è quella di organizzare, domare e imporre una forma coerente su un universo per definizione senza logica, antinarrativo. L'impresa del protagonista Cobb, che consiste nell'innestare un'idea nel subconscio di una persona penetrando nei suoi sogni, è coadiuvata da un vero e proprio "team creativo": c'è l'architetta Adriane (la giovane Ellen Page), brillante studentessa che si occupa di costruire dal nulla gli ambienti che l'uomo sognerà, c'è il manovratore Arthur (un convincente Gordon-Levitt) che supervisiona la realizzazione della "sceneggiatura", c'è il falsario Eames (a cui dà vita Tom Hardy) che può assumere le sembianze di un altro personaggio interpretandone di fatto il ruolo. E' evidente il parallelismo con il processo creativo del cinema, la riflessione metacinematografica portata avanti da Nolan (curiosamente in modo anch'esso inconscio, a quanto lui stesso ha dichiarato). Naturalmente, il tentativo di porre sotto stretto controllo ogni aspetto di ciò che è per sua natura incontrollabile si rivelerà vano, e il subconscio del protagonista, incarnato nella fantasmatica presenza di Marion Cotillard, inizierà presto a esigere il suo tributo.
Quello che colpisce positivamente, nel lavoro di Nolan, è proprio il rigoroso controllo della narrazione, l'abilità nel gestire al meglio una sceneggiatura complessa, che certo richiede attenzione allo spettatore ma alla fine risulta costruita, nel suo gioco a incastro, in modo impeccabile. Una scelta, quella della narrazione frammentata e non cronologica, che è quasi un marchio di fabbrica per l'autore di Memento e The Prestige, ma anche qui ben lungi dall'essere un vuoto artificio stilistico: i differenti "piani" di cui l'universo del film si compone esigono necessariamente questo tipo di struttura narrativa, che nelle mani di Nolan diventa un potente strumento di coinvolgimento. E se, come ha dichiarato il regista, Inception è principalmente un film d'azione con lo scopo di intrattenere, non si può non notare come anche questo aspetto sia stato sapientemente dosato, con sequenze che non lesinano di mostrare il budget del film ma che mai si discostano dalla pura funzionalità narrativa. E se DiCaprio, che sempre più spesso ci regala ritratti di personaggi tormentati, dà uno spessore umano non trascurabile al suo personaggio, una menzione va fatta anche per un Cillian Murphy altrettanto fragile e convincente nel ruolo della vittima della missione, senza contare un Micheal Caine che, oltre a essere ormai presenza fissa nei film di Nolan, mette in mostra anche qui il suo indiscutibile carisma. E poco importa, in fondo, se il film "scivola" leggermente sul finale, imboccando (o meglio lambendo) una strada che fino all'ultimo avevamo sperato restasse non battuta. In fondo, le altre strade per cui il film ci ha condotto le abbiamo percorse più che volentieri.

Movieplayer.it

4.0/5