Recensione Ong Bak 2 (2008)

Il film si regge ovviamente, in primo luogo, sulle doti atletiche dell'ormai collaudato Jaa, per una serie ininterrotta di combattimenti e scontri in cui è la fisicità a farla da padrona.

La golden age del Muay Thai

Tailandia, XV secolo. La repressione di un ammutinamento porta alla morte i genitori del piccolo Tien, che riesce a scappare per un pelo solo per essere catturato da una banda di mercanti di schiavi. Costretto a un combattimento di gladiatori, il ragazzino viene notato da un gruppo di banditi, il cui capo Chemang decide di liberarlo e di prenderlo sotto la sua custodia. Addestrato alle arti marziali, da grande Tien decide di partire alla ricerca degli assassini dei suoi genitori.

Presentato nella serata di inaugurazione dell'undicesima edizione del Far East Film Festival, questo Ong Bak 2 non ha nessun collegamento con il suo fortunato predecessore, fatta eccezione per il protagonista Tony Jaa, nuova del cinema di Muay Thai, l'arte marziale tailandese. Laddove il predecessore vantava un'ambientazione contemporanea, qui il regista Panna Rittikrai (che succede a Prachya Pinkaew e che è coadiuvato alla regia dallo stesso Jaa) sceglie di ambientare la storia in un crudele medioevo tailandese, per un set in cui si respira sporcizia e violenza fin dall'inizio, ma che non manca di fascino. Il film si regge ovviamente, in primo luogo, sulle doti atletiche dell'ormai collaudato Jaa, per una serie ininterrotta di combattimenti e scontri in cui è la fisicità a farla da padrona. Lo script si limita ad offrire una traccia, pur complessivamente ben costruita, per la sequenza di scene d'azione che il film offre nelle sue quasi due ore di durata, orchestrate anche da una regia attenta e funzionale.

Le regole sono ovviamente quelle del cinema di arti marziali per come lo abbiamo conosciuto (e amato) in oltre 40 anni di storia, nella sua variante tailandese che offre forse un surplus di fisicità e violenza: la vendetta, il riscatto, l'onore, tutto già abbondantemente collaudato ma sempre di sicura presa. Tuttavia, una certa cura nelle ambientazioni e qualche finezza registica (la morte, a inizio film, del tutore del protagonista) aggiunge senz'altro al film qualche motivo di interesse, oltre a un coraggioso finale, inaspettatamente non consolatorio.
I fan del cinema delle arti marziali, di tutte le latitudini, saranno sicuramente soddisfatti dalla grande fisicità del film e dalla prestanza atletica di Jaa, che pur non disponendo del carisma di un Jet Li o dell'autoironia di un Jackie Chan, si segnala più che mai come la star di questo nuovo cinema d'azione tailandese. E la notizia del già annunciato, prevedibile terzo episodio, tutto sommato non disturba più di tanto.

Movieplayer.it

3.0/5