Recensione Il sorteggio (2010)

In un'Italia che sta dedicando sempre meno interesse e risorse anche ad un valore normalmente inattaccabile come quello dell'istruzione, è consolante che, almeno per una volta, sia la televisione a fare la propria parte nel risvegliare memorie e coscienze.

La giustizia del coraggio

La televisione italiana ha sempre fatto della storia uno dei propri cavalli di battaglia; da quando poi, trascorsi i primi decenni di trasmissioni, le emittenti pubbliche hanno senza rimpianti abbandonato il loro ruolo educativo, salvo sporadici e sempre meno difesi baluardi di resistenza, il nostro passato è diventato materia d'elezione per fiction e film per la televisione. Il RomaFictionFest ha scelto di ospitare una delle anteprime più attese per la prossima stagione televisiva: si tratta di Il sorteggio, diretto da Giacomo Campiotti e che vede la partecipazione di alcuni degli attori più talentuosi del panorama italiano, a partire da Beppe Fiorello e Giorgio Faletti.

La vicenda ha a che fare, ancora una volta, con le Brigate Rosse e con gli sconvolgimenti sociali protagonisti degli anni Settanta. Ma ciò che differenzia questo film tv dai suoi predecessori è il punto di vista, che non è né quello dello Stato, e di chi attraverso la legge e l'informazione si è schierato contro la minaccia terroristica, né quello di chi è stato artefice della lotta in prima persona. Protagonista è infatti Tonino, un operaio della Fiat di origini siciliane, che si destreggia a fatica tra il rapporto problematico con la fidanzata e la mancanza di sicurezza sul lavoro (tema tristemente attuale anch'esso), a cui alcuni dei colleghi vorrebbero opporre la protesta violenta. Il ragazzo, da parte sua, è più vicino alle idee di Gino, sindacalista della fabbrica che da sempre condanna i gesti eclatanti dei gruppi terroristici, ma dell'argomento non ha né una visione né un'opinione chiara. Le cose si faranno più complicate quando proprio Tonino sarà estratto per entrare a far parte della giuria popolare nell'ambito del primo processo contro le Brigate Rosse. Accettare l'incarico significherebbe infatti mettere a rischio la propria vita, ma contemporaneamente Tonino sente che ritirarsi vorrebbe dire venire meno ai propri doveri nei confronti della collettività e della giustizia.

Il personaggio di Tonino è emblema perfetto del cittadino onesto, della brava persona che vorrebbe fare la cosa giusta, ma che è frenato nei propri intenti migliori dal clima di indifferenza delle istituzioni. Lo Stato è per lui, come per la maggioranza dei lavoratori ancora oggi, quello che si prende il trenta per cento della busta paga e in cambio offre una sanità scadente, pensioni misere e soprattutto un futuro di insicurezze. A poco valgono le belle parole di Gino o quelle, ancora più altisonanti, che volenterosamente si è andato a leggere nella Costituzione, se i terroristi danno alle fiamme il suo unico mezzo di trasporto, rimanendo impuniti, e arrivano a minacciare la sua vita recapitandogli una pallottola. Beppe Fiorello interpreta con grande intensità questa lacerazione, apparentemente irrisolvibile, tra la volontà di fare il bene di tutti e l'istinto di autoconservazione di se stessi, e la vera forza del film sta tutta nella capacità di non privilegiare una linea di pensiero rispetto ad un'altra: le idee piene di giustizia e speranze di Gino non possono non conquistare, ma allo stesso tempo risulta comprensibile la disillusione di coloro ai quali le belle parole non bastano più, e che vedono allargarsi sempre più il divario tra i potenti, siano essi imprenditori o terroristi, e i deboli. Il garbato suggerimento che il film sembra voglia regalarci, attraverso la toccante figura, di grande forza morale, dell'anziano giurato a cui Tonino confida le proprie incertezze, è che non bisogna mai essere preda della paura e che, cosa ancora più importante, è nostro diritto e dovere cercare di comprendere fino in fondo la nostra realtà, in modo da non doverci guardare indietro e capire, troppo tardi, che una diversa consapevolezza avrebbe potuto cambiare il mondo o, quantomeno, noi stessi e il nostro giudizio su noi stessi. Come tante volte ci hanno dimostrato i prodotti televisivi italiani, era difficile parlare di argomenti così importanti, e che tanto intensamente coinvolgono la coscienza popolare, senza scadere nella retorica, ma il regista riesce quasi perfettamente nell'impresa, anche grazie ad una gestione equilibrata del ritmo della storia, che alterna armoniosamente i momenti riflessivi a fasi più dinamiche. Interessante è anche l'artificio usato per descrivere il rapporto tra Tonino e Anna, i cui altalenanti sentimenti sono descritti con grande sensualità grazie all'uso del ballo.

La normalmente bistrattata televisione generalista ha saputo dimostrare in questo caso di avere ancora qualcosa da dire non solo alla platea dei reality e dei varietà, ma anche a coloro che credono ancora nel potere dell'intrattenimento di far riflettere e di insegnare: in un'Italia che sta dedicando sempre meno interesse e risorse anche ad un valore normalmente inattaccabile come quello dell'istruzione, è consolante che, almeno per una volta, sia la televisione a fare la propria parte nel risvegliare memorie e coscienze.