Recensione Elektra (2005)

Il regista, complice anche qualche virtuosismo tecnico che ben si sposa con la cultura delle vignette disegnate, ci regala avvincenti e riuscite sequenze d'azione.

La Garner dei pugnali volanti

"Alla fine di Daredevil, abbiamo lasciato Elektra sulla soglia della sua oscurità interiore. All'inizio di Elektra, attorno a lei c'è ormai un muro di ghiaccio. E' completamente isolata dal resto del mondo, e neppure se ne accorge". Questa dichiarazione appartiene a Jennifer Garner, recentemente rivista nella bella fanta-commedia 30 anni in un secondo, che, dopo aver interpretato in Daredevil, al fianco di Ben Affleck, la nota eroina dei fumetti Marvel abilissima nell'uso del sais, ovvero un paio di spade a tre punte, torna nei suoi panni in un lungometraggio interamente dedicato a lei, per la regia di Rob Bowman, già responsabile di X-files - Il film (1998) e Il regno del fuoco (2002).

Dopo un brevissimo prologo narrato in cui viene fatta luce sulle sue origini, vediamo immediatamente in azione Elektra, misteriosa assassina professionista che tiene il corpo in continuo allenamento, ricordando sia il Sylvester Stallone di Rocky che il Ralph Macchio di Karate Kid - Per vincere domani, ma che, quando viene incaricata di uccidere Mark Miller e sua figlia Abby, si ritrova rapita dai ricordi riguardanti i giorni della sua vita passati insieme al padre, e decide quindi di abbandonare il cinismo per incamminarsi sulla via della redenzione.
Insieme ai due, finisce per essere il bersaglio del potente sindacato del crimine conosciuto come La Mano, tra i cui principali elementi, tutti praticanti la magia nera, vi sono lo spadaccino provetto Kirigi, la femme fatale Typhoid, il mastodontico Stone, Kinkou, dotato di un sovrannaturale senso dell'equilibrio, e Tattoo, dal corpo ricoperto di tatuaggi viventi.

Supportato da un cast che comprende il Goran Visnjic della serie E.R. - Medici in prima linea, il sempre perfido Cary-Hiroyuki Tagawa, visto in pellicole come Sol Levante e Mortal Kombat, il Will Yun Lee di 007-La morte può attendere ed il grande Terence Stamp, qui nei panni del sensei non vedente Stick, che ricorda molto da vicino il Rutger Hauer di Furia cieca, Bowman sfrutta una sceneggiatura ad opera di Zak Penn, già attivo in X-men 2, e dell'accoppiata Stu Zicherman e Raven Metzner, per realizzare questo comic-movie che, se da una parte ci propone una nuova guerriera femminile, probabilmente invidiosa di colleghe come la Uma Thurman di Kill Bill e la Kate Beckinsale di Underworld, dall'altra, a causa anche delle diverse sequenze di combattimento realizzate dal vero, senza il ricorso ad effetti visivi, sembra voler omaggiare un certo cinema "minore" delle arti marziali particolarmente in voga negli anni Ottanta, quando veniva proposta fino alla nausea la figura dei mascherati ed agilissimi ninja.
E fin dalle prime immagini, in cui le cupe atmosfere generate dalla contrastata fotografia dell'x-filesiano Bill Roe fanno da sfondo ai violenti scontri operati da Jennifer Garner, con tanto di lame che penetrano nei corpi dei suoi avversari ed ossa che si rompono, Elektra, un po' come i due Batman di Tim Burton, si rivolge più ad un pubblico di adulti che di giovanissimi legati all'universo dei fumetti, ed a testimoniarlo sono anche i suoi nemici che, come presenze spettrali, si dissolvono in materia gassosa al momento della morte.

Il regista, complice anche qualche virtuosismo tecnico che ben si sposa con la cultura delle vignette disegnate, ci regala avvincenti e riuscite sequenze d'azione, tra le quali non possiamo evitare di citare quella dello scontro tra Elektra e Stone, in cui fa la sua parte anche un imponente tronco d'albero, o il combattimento tra le bianche lenzuola volanti, dal sapore fortemente orientale, e riserva, soprattutto nella parte finale, perfino qualche sorpresa.
Il suo intento, però, appare essere esclusivamente quello di tenere unite queste poche, memorabili scene; di conseguenza, il resto del film si basa su una narrazione che sembra abbandonata a sé stessa, tra lunghi, anonimi dialoghi e viaggi nel mondo interiore della protagonista che finiscono per narcotizzare lo spettatore.
Da vedere comunque, anche se resta un'operazione riuscita a metà.