La fine del mondo secondo Abel Ferrara a Venezia

Incontro col ruvido Ferrara e con i suoi attori, Willem Dafoe e Shanyn Leigh, persi nella notte di New York in attesa dell'apocalisse.

Il provocatore Abel Ferrara sbarca in laguna col suo dramma apocalittico-psicanalitico 4:44 Last Day on Earth. La pellicola, presentata in concorso, descrive le ultime ore di vita di una coppia newyorkese prima della fine del mondo. Protagonisti della storia astratta e vagamente metafisica sono Willem Dafoe e la rossa Shanyn Leigh, compagna del regista. I due attori si muovono nel vuoto pneumatico di una metropoli rarefatta che si prepara all'ultimo atto in un'atmosfera di incredulità. In un incontro con la stampa Abel Ferrara e i suoi interpreti ci parlano dell'esperienza sul set e della genesi di un'opera che contiene tutti i temi fondanti del cinema di Abel: sesso, rapporti di coppia morbosi, tradimento, arte, religione, morte, visionarietà.

Il tema della fine del mondo è presente tra le righe in molte tue pellicole, ma stavolta è esplicito. Cos'è cambiato?
Abel Ferrara: Alcuni anni fa Al Gore ha chiamato dei registi per lavorare sulle conseguenze del riscaldamento globale. Io non so da dove vengano queste idee catastrofistiche, ma comunque sono presenti in tantissime opere. Sono credenze radicate e comuni a molte persone. Stavolta io ho deciso di affrontare il tema direttamente.

I protagonisti del film accettano passivamente l'idea che tra poche ore tutto scomparirà. Non siete stati sorpresi da questa serenità?
Shanyn Leigh: Nella mente dei personaggi è già stata acquisita l'idea della fine. Tutto il mondo in un unico momento tradisce le persone e l'unico modo per risolvere la situazione è aggrapparsi a un credo spirituale.
Willem Dafoe: Non sono certo che il mio personaggio alla fine sia molto sereno. L'unica scelta che uno ha è affrontare le proprie responsabilità e fare il bilancio del proprio rapporto di coppia. Nelle ultime ore i protagonisti del film cercano di capire cosa rappresentano l'uno per l'altra.
Abel Ferrara: Quando sul set abbiamo parlato del tema ci siamo detti che il fatto che il mondo finirà è qualcosa di acquisito, ma le persone se ne rendono conto realmente solo alla fine, quando arriva il momento della riflessione. Nel mondo ci sono solo due cose certe: le tasse e la morte. Delle tasse sappiamo chi se ne occupa, ma della morte non siamo sicuri, è un mistero. Nel film provo a parlare di questo mistero.

Come mai hai scelto di rappresentare la distruzione con una nube verde?
Abel Ferrara: Abbiamo consultato degli esperti e abbiamo parlato del buco dell'ozono come causa scatenante della distruzione, ma loro hanno risposto che era meglio parlarne il meno possibile. Nessuno sa come sarà realmente la fine, ma in questo caso ho cercato di fondere credenze, superstizioni e teorie scientifiche. Questo non è un effetto creato al computer. Abbiamo filmato realmente l'aurora boreale e l'abbiamo utilizzata nel film.

Come è nata la colonna sonora?
Abel Ferrara: Ho avuto continue discussioni con il compositore per trovare il suono giusto. Alla fine abbiamo utilizzato delle sonorità dure, ruvide. Quando poi sono arrivate le immagini la musica è cambiata, vi sono state modifiche. Alla fine abbiamo ridotto il tutto a ritmi semplici, elementari, blues e a tamburi che dessero l'idea dell'Apocalisse. Quello che volevo avere era un suono duro ed essenziale.

E la fotografia come è stata curata?
Abel Ferrara: Il film inizia di pomeriggio e termina alle 4:44 di notte. Dopo molte riflessioni ho scelto di girare in digitale lavorando in un unico luogo e seguendo i cambiamenti dell'atmosfera. L'immagine ottenuta si posiziona a metà tra effetto epico e oscurità, cupezza.

Cosa c'è di personale in questo film?
Abel Ferrara: Sul set mi chiedevano sempre se in realtà il protagonista maschile fossi io. Sì, in parte sono io, ma un film è sempre il risultato di un lavoro di squadra, di un viaggio collettivo. Se è per quello, comunque, sono anche nel personaggio femminile.
Willem Dafoe: Abel è in ogni virgola del copione. Quando ho letto la sceneggiatura ho capito che era estremamente personale. Io sono solo l'agente della sua immaginazione, un'estensione della sua creatività. Sono un uomo nel mondo creato da Abel che viene osservato prima della fine.
Abel Ferrara: Non ho detto a Willem di interpretare me stesso. Ha un nome, ha una vita propria. In un film bisogna scoprire le carte in tavola arrivando a dire tutto. Non si può mentire al pubblico e deve essere tutto chiaro prima di iniziare le riprese.

Nel film è presente il concetto di multimedialità. Che cosa rappresenta per te?
Abel Ferrara: Oggi i giovani vivono col mondo ai loro piedi. I ragazzini hanno il cellulare, internet, le webcam. Possiamo guardare tutto il mondo con Google Earth. E' così che oggi funzionano le cose, ovunque si vada si è ripresi da una telecamera. I giovani non imparano questo mondo, ci sono nati e il film riproduce la realtà di oggi.

Abel, ti senti stretto nella definizione 'poeta maledetto'?
Abel Ferrara: Non mi sento un poeta maledetto. I miei film parlano di persone, innanzi tutto. Qualunque sia il genere cinematografico a cui appartengono, i film parlano dell'incubo di vivere o della gioia di vivere e in queste situazioni i personaggi si confrontano con sé stessi e con gli altri.

Il Pianeta Terra scompare per colpa dell'umanità. Guardando come vanno le cose oggi credi davvero che non vi saranno agenti esterni responsabili della distruzione? Come hai lavorato sul senso di angoscia generato dal conoscere il momento esatto della morte?
Abel Ferrara: Questo è un aspetto che volevo toccare nel film. L'uomo arriva a distruggere la Terra, ma soprattutto se stesso. Qui non si parla di Dio, ma dell'umanità che non riesce a capire cosa fare per prevenire una catastrofe. Questo non è un incidente, ma è un atto dell'uomo che vede tutti responsabili. Quando si conosce il momento esatto della fine, le cose diventano ancora più difficili. Il film mi è venuto in mente mentre, due anni fa, ero in volo verso Venezia e l'aereo ha avuto dei problemi. A un certo punto sono cadute giù le maschere per l'ossigeno, l'aereo ha invertito la rotta sull'Oceano e io mi sono detto: "Sto per morire. Non voglio sapere il momento esatto in cui morirò".

Willem, Shanyn, voi avete già lavorato in passato con Abel. Cosa avete portato di vostro in questi personaggi?
Shanyn Leigh: Molte caratteristiche dei nostri personaggi provengono dalla nostra vita personale. Io sono realmente buddista, faccio meditazione. Abbiamo lavorato insieme per un mese prima dell'inizio del film e abbiamo riflettuto sul senso della fine. Quello che credo è che anche se si perde tutto ciò che abbiamo, compresa la vita, l'unica cosa che ci può aiutare a dare un senso alle tragedie e ad accettare ciò che ci accadrà è la spiritualità.
Willem Dafoe: Mentre preparavamo il film avevo un sentimento strano. Il mio personaggio mi sembrava una sorta di tossicomane. Non tutti vogliono essere svegli e lucidi in un momento come la fine del mondo, ma ognuno cerca di adottare una strategia personale per dire addio.