Recensione Good (2008)

Sebbene rispettabile e anche ammirevole nelle sue intenzioni, non si possono non riconoscere a Good evidenti limiti nella narrazione e nella messa in scena.

La coscienza di un uomo qualunque

Tratto dalla più famosa tra le opere teatrali firmate dal drammaturgo scozzese C.P. Taylor, Good è la storia di un uomo come tanti, vissuto nel paese sbagliato nel momento sbagliato. Il personaggio di John Halder è ricavato da diverse figure di intellettuali vissuti durante l'ascesa del Terzo Reich, e viene utilizzato da Taylor, e, in questa versione filmica del dramma dal brasiliano Vicente Amorim, per mostrare come la cecità e l'opportunismo di quelle che il senso comune indicherebbe come "brave persone" abbiano condotto alla complicità del popolo tedesco con i crimini dei nazisti.

Halder è un professore di lettere che ama molto il suo lavoro e ha qualche gatta da pelare di troppo a casa: la moglie si disinteressa quasi completamente del ménage familiare, costringendolo a dividersi tra l'università, i figli, le faccende domestiche e un'anziana madre ammalata. Nonostante i continui ammonimenti del suocero, che dispera per la sua carriera, rifiuta ancora di iscriversi al partito di Hitler. Le cose cambiano improvvisamente quando l'uomo viene convocato dalla Cancelleria del Führer per un proposito misterioso; piuttosto nervoso, Halder scopre che Hitler e i suoi hanno letto e apprezzato un suo romanzo che trattave il tema dell'eutanasia - la storia di un uomo che uccide per amore la moglie gravemente ammalata. Il Führer vuole che il professore scriva, sullo stesso argomento, un saggio che serva agli scopi della politica eugenetica del Reich. In cambio per lui c'è una immediata promozione oltre che una posizione "onoraria" nelle SS. Ma a dare la svolta alla sua monotona esistenza arriva cneh un'altra novità: una giovane che entra nella sua vita all'improvviso e gli fa riscoprire una felicità dimenticata. Nel frattempo, il regime inasprisce le misure per l'emarginazione della minoranza ebraica, e a farne le spese è anche Maurice, lo psicoanalista che era l'unico vero amico di Halder prima della sua entrata nei ranghi dei nazisti.
Così ha inizio la seduzione di Halder, che, un gradino dopo l'altro, scende in un baratro di corresponsabità con il manipolo di criminali delle mani dei quali la Germania ha messo il suo futuro.

Sebbene rispettabile e anche ammirevole nelle sue intenzioni, non si possono non riconoscere a Good evidenti limiti nella narrazione e nella messa in scena. Il problema più grosso deriva da una maldestro e anti-cinematografico adattamento del dramma di C.P. Taylor. Se sulla scena, infatti, certe condensazioni e certe semplificazioni possono funzionare perché il pubblico - come insegna il famoso prologo shakespeariano all'Enrico V - è abituato a metterci del suo, lo spettatore di un film ha bisogno di maggior supporto perché scatti la supension of disbelief. E nel film di Amorim, nonostante il grande impegno di Viggo Mortensen e di Jason Isaacs, è davvero difficile investirne.

Movieplayer.it

2.0/5