La colonna sonora di Pretty Woman

La compilation pesca furbescamente verso più direzioni: dai Sixties alle star dell'ultim'ora, dalla nuova scena alt rock alle all??"time stars.

La favola della prostituta che incontra il grande amore, e per giunta bello e ricchissimo, non poteva che essere commentata da un cast multiplatino ed un tantino levigato.
Se a Richard Gere e Julia Roberts va il merito di aver fatto riempire le sale, agli ospiti musicali va riconosciuto quello di aver portato il disco al successo in mezzo mondo: su Billboard Pretty Woman arrivò fino alla quarta posizione ed il singolo It Must Have Been Love raggiunse la vetta, Fame 90 la dodicesima posizione nella Hot Rap Singles, Life In Detail la settima nella Mainstream Rock Tracks, Show Me Your Soul la decima nella Modern Rock Tracks.

La compilation pesca furbescamente verso più direzioni: dai Sixties (Roy Orbison) alle star dell'ultim'ora (Go West, Roxette), dalla nuova scena alt - rock (Red Hot Chili Peppers) alle all - time stars (David Bowie, Robert Palmer), dagli sponsorizzatissimi figli d'arte (Natalie Cole) ai campioni del sentimentalismo più zuccheroso (Peter Cetera, in passato voce dei Chicago).
Il peperoncino aggiunto sul finale dà un po' di sapore trasgressivo al disco e riuscì del resto a diffondere il verbo dei Red Hot Chili Peppers, all'epoca famosi quasi esclusivamente per le notizie che giungevano al di qua dell'Atlantico delle loro scorribande finto erotiche del tipo "nudi coperti solo da un calzino".
Il loro disco successivo li farà letteralmente esplodere, sarà il Blood Sugar Sex Magik di Under the Bridge, Breaking The Girl e Give it Away, da molti considerato l'opera più completa del quartetto.

Agli antipodi del disco la graziosa figliola di Nat King Cole apre le danze con Wild Women Do, lasciando dopo quattro minuti spazio alla versione attualizzata di Fame del Duca Bianco, un pezzo che fu scritto una quindicina d'anni prima a sei mani con Carlos Alomar e John Lennon.
Il nuovo arrangiamento non migliora la canzone, tali sonorità da dance spicciola meglio lasciarle ai più giovani Go West che sottolineano il Richard Gere a bordo di una fiammante Lotus grigia con The King of Wishful Thinking; qualche anno prima i Go West furono protagonisti di una brillante estate (1985) grazie all'hit We Close Our Eyes.

Campioni dell'ultim'ora e protagonisti dell'easy listening scandinavo si fanno spazio i Roxette, simpatica coppia fresca del successo ottenuto con l'album d'esordio Look Sharp che conteneva i due super hits The Look e Listen To Your Heart; It Must Have Been Love è il momento più romantico del disco, irraggiungibile anche per un vecchio volpone del calibro di Peter Cetera che con i languidi Chicago divenne il più gettonato nei lenti programmati alle feste di compleanno negli anni '70 / '80 grazie a tormentoni quali If You Leave Me Now e Hard To Say I'm Sorry.

Robert Palmer ci mette parecchio mestiere ma preferiamo ricordarlo per Johnny and Mary, la troppo fugace vicenda dei Power Station (con 2/5 dei Durans e l'ex Chic Tony Thompson dietro la batteria) ed altri momenti di gran classe (Mercy Mercy Me, Addicted To Love).

E poi c'è il grande tormentone, ovverosia come ridare vita ad uno dei più sfigati protagonisti dell'epopea rock 'n' roll (cercate la sua biografia se non ci credete...); Roy Orbison fu così rilanciato dal film (che prende il titolo proprio dalla sua Oh, Pretty Woman) che venne chiamato a far parte del supergruppo Traveling Wilburys (con Bob Dylan, George Harrison, Tom Petty e Jeff Lynne) salvo tirare le cuoia sul più bello, tanto che nel secondo ed ultimo disco dei Traveling apparve solo grazie all'intervento della più moderna tecnologia.

A tutto ciò poco aggiungono i rimanenti compagni di viaggio: Jane Wiedlin, Christopher Otcasek e Lauren Wood raccolgono i frutti seminati dai più rinomati colleghi.
Sufficienza piena.