La colonna sonora de Il corvo

I discepoli del buio avrebbero forse gradito una scaletta più dark-oriented, ma questo disco tutto sommato non sfigura affatto accanto a classici del calibro di Pornography, Disintegration, Closer ed Unknown Pleasures.

Non può piovere per sempre.

Nel film dark per antonomasia ci troviamo di fronte alla mitologica figura di Brandon Lee, amplificata dalla scomparsa avvenuta in maniera tragica quanto misteriosa proprio durante le riprese, quasi a voler ripercorrere in maniera ideale e totale i fasti del padre Bruce.
La figura di Brandon è degna di occupare un posto d'onore nella storia del cinema, accanto ad altri giganti (l'esempio accademico è sempre quello di James Dean) prematuramente scomparsi e definitivamente rimasti idoli nell'immaginario collettivo delle giovani generazioni.
Non so fino a che punto chi ha amato alla follia Cure, Joy Division, Bauhaus ed i libri di Baudelaire possa trovare convincente la scaletta del disco, che ha il proprio ago spostato verso sonorità metal, soprattutto nella seconda parte; le atmosfere dark si riscontrano più nei titoli delle canzoni che nei toni musicali espressi, titoli che sembrano usciti dalle pagine dei Fleurs du Mal (Burn, Big Empty, Darkness, Dead Sounds, Ghostrider, Color Me Once) e che non lasciano trasparire un solo raggio di sole.

Ma il motivo c'è, il messaggio della compilation è "non solo il Dark è dark": tante altre ramificazioni della musica rock sono intrise di tematiche introspettivo - esistenzialiste; la rabbia del cross - over, la durezza del nu - metal, l'acidità dell'industrial, il malessere ed il disagio espresso dal grunge sono così distanti dalle liriche e dalle sonorità dark?

Gli unici autentici protagonisti di quella scena qui presenti sono gli immensi Cure che aprono le danze con Burn, i Jesus & Mary Chain, shoegazers più che mai in Snakedriver ed i Violent Femmes un gradino meno convincenti in Color Me Once, ma tutti gli altri esecutori chiamati all'appello hanno qualcosa in comune con loro.
Ne sanno qualcosa gli Stone Temple Pilots, l'adesione al filone grunge e la ricercarta somiglianza con la voce di Eddie Vedder permise alla band di vendere qualche milione di copie coi primi due lavori Purple e Core, ma la mancanza di personalità fece velocemente perdere loro terreno.
I Rage Against The Machine propongono la consueta miscela esplosiva, Darkness è cross-over al fulmicotone che si inserisce fra le migliori realizzazioni di Zack de la Rocha, Tom Morello & Co; gli Helmet si pongono nella stessa area ma più spostati verso i Primus ed i Red Hot Chili Peppers più funk.
I Pantera deviano verso il filone nu-metal, anche se i risultati ottenuti non sono al livello dei grandi nomi del settore, più convincenti i robusti riff costruiti da Rollins Band e For Love Not Lisa.
Non ha bisogno di presentazioni Trent Reznor, qui impegnato a smussare le spigolosità rumoristiche della sua creatura: Dead Souls ha in sé tutto lo spirito dei Nine Inch Nails ed i Machines Of Loving Grace mandano a memoria la lezione industrial-pop in Golgotha Tenement Blues.

Chiude i giochi lo sbadiglio provocato da Jane Siberry, di It Can't Rain for All the Time non può colpirci altro che il titolo.

Forse non c'è più quello spirito decadente che portava Robert Smith a profetizzare "It doesn't matter if we all die" in One Hundred Years ed a realizzare album epocali quali Faith e Seventeen Seconds, ma mettere in pista una compilation di brani inediti piuttosto che vecchi di 10-15 ha reso il prodotto fresco ed appetibile ai cacciatori di discografie complete.
I discepoli del buio avrebbero forse gradito una scaletta più dark-oriented, ma questo disco tutto sommato non sfigura affatto accanto a classici del calibro di Pornography, Disintegration, Closer ed Unknown Pleasures.
Not only for the dark.