Recensione El Alamein - La linea del fuoco (2002)

Monteleone ci porta in trincea e ci mostra gli aspetti secondari, ma non per questo meno terribili, della guerra: la quotidianità.

L'orrore nascosto di una guerra

La voglia di novità è evidente dalle parole di Enzo Monteleone: la voglia di fare qualcosa di epico e spettacolare, che superasse i limiti intimisti di molto cinema italiano.

El Alamein era in cantiere da tre anni e ha richiesto molti sforzi nella ricerca di materiale e documentazioni che lo rendessero il più possibile realistico. Infatti, il film tratta di vicende storiche, della disfatta di El Alamein del 1942 che provocò migliaia di morti nelle fila dell'esercito italiano, abbandonati nel deserto egiziano in vana attesa di rifornimenti e cambi.

Oltre ai documenti d'epoca, Monteleone si è documentato leggendo anche i diari dei soldati che quella guerra l'hanno vissuta in prima persona, dando un sapore documentaristico al film, in modo particolare nella prima parte, di presentazione dei personaggi e dell'ambiente.
Il nostro protagonista e fulcro dell'azione è Serra (il buon Paolo Briguglia de I cento passi), Volontario Universitario, giunto al fronte carico di un entusiasmo ingiustificato e fastidioso per i commilitoni bloccati in quel territorio e quella guerra da molto tempo, con il miraggio lontato e offuscato di un ritorno a casa. Intorno a lui si muovono una serie di personaggi ben caratterizzati, con i loro dialetti, i loro tic e le loro paure, tipicamente italiani, senza scadere nel provinciale.

L'unico scopo di questi manipolo di giovani dimenticati da un Mussolini già pronto a festeggiare la vittoria con il suo cavallo da parata e il suo lucido per scarpe, è la sopravvivenza, giorno dopo giorno, in un deserto che li circonda e in qualche modo li penetra, li cambia, rendendo tutto piatto e confuso.
In questo deserto egiziano dove tutto è uguale, il vero orrore che i soldati devono affrontare non è tanto il nemico, la violenza, la crudezza delle guerra, quanto la terribile, soffocante quotidianità che li schiaccia. La disarmante attesa di non si sa cosa.

In questa prospettiva, anche la voglia di novità di Monteleone rimane insabbiata nell'abbacinante Sole del deserto, sommersa da una serie di sequenze che a tratti sanno di episodi slegati. Se l'intenzione era di ripercorrere la strada di molti film di guerra d'oltreoceano (Monteleone cita come sua ispirazione per questo lavoro La Sottile Linea Rossa e Lawrence d'Arabia), non è centrata in pieno, se non nella seconda parte del film, quando il combattimento entra nel vivo e la tremenda spettacolarità della guerra prende il sopravvento sulla sabbiosa attesa dei protagonisti di esaurire i tre miracoli a loro disposizione.
Buono il lavoro di tutto il cast, ben integrato nella realtà che li circonda, forse aiutati dall'aver girato sul posto, in scenografie naturali che li ha aiutati ad immedesimarsi. Buona anche la fotografia che dà il giusto colore alla desolazione del deserto e si permette delle inquadrature ricercate.
Forse il film ha preso il sopravvento sul regista, avendo la meglio sulle sue intenzione e diventando qualcosa di più rispetto all'idea di partenza. Il risultato, almeno nella prima parte, ha qualcosa del Mediterraneo di Gabriele Salvatores, seppur adombrato dal tema drammatico.

El Alamein risulta un buon film, un buon affresco del lato umano della guerra, quello che spesso si tende a dimenticare, dei soldati nelle trincee, delle loro amicizie, delle loro paure e angosce, la fame, la sete e le malattie. La guerra come noi la conosciamo viene fuori solo dopo, con il suo spettacolo di morte che riecheggia nel finale girato in una carrellata elegante nel mausoleo dei caduti di El Alamein, gran parte dei quali contrassegnati da un atroce "ignoto".

Movieplayer.it

4.0/5