Recensione Saimir (2004)

Pur avendo il pregio di non crogiolarsi nella retorica il film di Munzi si sofferma solo sulla superficie del fenomeno dell'immigrazione nel nostro paese, senza approfondire le tematiche trattate.

L'Italia sognata dagli angeli

Saimir è un adolescente albanese che vive con suo padre Edmond e la sua compagna italiana in un sobborgo del litorale laziale; il ragazzo aiuta suo padre a far approdare clandestinamente immigrati albanesi in Italia, e nonostante non approvi questo stile di vita, non ne parla mai apertamente. Saimir sogna una vita diversa, magari con un lavoro normale, ed un'esistenza tranquilla in una città grande come Roma o Milano; ma suo padre gli sbatte in faccia la loro realtà di emarginati ed il loro destino di illegalità; un destino al quale Saimir non si ribella mai a voce alta, ma al quale oppone i suoi silenzi carichi di disapprovazione e sfiducia. Il ragazzo prova ad integrarsi, con non poca diffidenza, ed inizia una storia con Michela, una coetanea italiana che però, ragionevolmente spaventata dall'ambiente in cui vive il ragazzo, decide di troncare il rapporto. Per Saimir il destino di miserie ed affari loschi paventato con rassegnazione ed amarezza da suo padre sembra farsi ogni giorno più concreto grazie anche al consolidarsi del rapporto che il ragazzo ha con un gruppo di nomadi che vive di furti. Un'esistenza in netto contrasto con quella sognata da chi approda clandestinamente nel nostro paese in cerca di fortuna e benessere, come il bambino albanese che chiede a Saimir come sia l'Italia, senza ricevere risposta.

Opera prima di Francesco Munzi, presentata nell'ambito della 55esima edizione della Berlinale, nella sezione Kinderfilmfest, Saimir ha ottenuto anche una menzione speciale dalla giuria dell'ultimo festival di Venezia. Pur avendo il pregio di non crogiolarsi nel facile sentimentalismo o nella retorica - propri di certo cinema italiano - il film di Munzi si sofferma solo sulla superficie del fenomeno dell'immigrazione nel nostro paese, senza approfondire pienamente la psicologia dei personaggi, il background sociale in cui proliferano la clandestinità e l'emarginazione, ma se ne tiene sempre in disparte rendendo anche lo spettatore poco partecipe delle tematiche trattate e della storia. La mancanza di coesione della struttura narrativa del film che si deve ad una sceneggiatura inconsistente e ad un montaggio poco fluido e d'impostazione televisiva, pongono una barriera tra il film e l'immedesimazione dello spettatore. Il punto di forza del film è sicuramente l'interpretazione di Xhevdet Feri, apprezzato attore di teatro in Albania, che nel film è il padre di Saimir: un' interpretazione equilibrata che lascia sentire il suo amore per il figlio, ma anche la necessità di sopravvivere a tutti i costi in una realtà non certo facile.

Movieplayer.it

2.0/5