Recensione The hunted - La preda (2003)

Il "realismo visionario" di Friedkin in questo caso privilegia uno stile secco, immediato, senza far sbalzare troppo le simbologie nascoste e puntando tutto sull'azione, quasi onirica per la frenesia in essa incorporata.

L'infausta caccia

Di nuovo William Friedkin. E di nuovo un film avvincente e adrenalinico. The Hunted - La preda si propone come un vero e proprio trattato tecnico sull'inseguimento, ovvero la situazione privilegiata del cinema di questo grande regista. Già dai tempi del "pluridecorato" Il braccio violento della legge Friedkin ha dimostrato grande idiomaticità verso la sottile linea che divide il bene dal male, la polizia dal criminale, l'inseguitore dall'inseguito, rovesciando spesso i piani.
Nel caso di quest'ultima fatica il conflitto diventa essenzialmente dualistico ed esclusivamente a passo d'uomo (dopo la progressiva spoliazione del concetto d'inseguimento che ha caratterizzato cronologicamente le pellicole di Friedkin: da quello classico ed esuberante de Il braccio violento della legge a quello contromano di Vivere e morire a Los Angeles, fino alla problematicità ed alle interruzioni forzate dalla folla di Chinatown in Jade), con un frenetico face to face, spietato, senza tregua e senza risparmio di colpi dove, ancora una volta, il "cacciatore" parte svantaggiato rispetto alla "preda" (come il Jimmy "Popeye" Doyle de Il braccio violento della legge).

Il "realismo visionario" di Friedkin in questo caso privilegia uno stile secco, immediato, senza far sbalzare troppo le simbologie nascoste (che pur ci sono ed in abbondanza) e puntando tutto sull'azione, quasi onirica per la frenesia in essa incorporata. E ciò avviene sin dall'inizio. La parafrasi accidentata e caricaturale della storia biblica di Abramo ed Isacco (mutuata da una canzone di Bob Dylan) viene enunciata, infatti, da una voce fuori campo con un senso di finta enfasi, alludendo all'ormai miticizzato Ezechiele 25,17 di Pulp Fiction. E già il nome della "preda" è tutto un programma: Aaron, come il fratello "ribelle" di Mosè, reo di aver restituito al popolo ebraico i suoi vecchi dei, alias il vitello d'oro. E il simbolo animale, immaginiamo, risulta direttamente collegato con il carattere ecologista dell'Aaron di The Hunted, visto che il film subisce un'immediata svolta con l'uccisione dei due cacciatori di cervi: il serial killer ha, a suo modo, l'intenzione di "riportare" la natura umana sui binari "giusti". La missione di Aaron è frutto, però, anche dell'assenza della figura paterna, altro topos tipico del cinema friedkiniano (presente in particolar modo ne L'esorcista).
In tal caso sono alcune lettere inviate a L.T., ma da questi ignorate, a scatenare la furia assassina repressa nel novello serial killer che, in un momento del film, ammetterà di considerare L.T. come un padre. Non meno importanti, inoltre, le due sequenze iniziali che introducono i due protagonisti: la prima, con i bagliori di una guerra che potrebbe essere qualsiasi guerra, ha l'obiettivo di avviare il senso causale della storia, sottolineando l'origine del "guasto" incorso alla mente di Aaron (i primi due omicidi, tra l'altro, richiamano chiaramente Il cacciatore di Michael Cimino, anch'esso basato sulle conseguenze catastrofiche "inflitte" da un conflitto bellico alla psiche dei protagonisti tra i quali, guarda caso, c'è un cacciatore di cervi); la seconda sequenza introduce invece L.T., l'addestratore (ma, ancor più, transfert reale della figura paterna nella mente malata di Aaron), che lo ritrae mentre è intento a curare un lupo ferito, preda di una trappola posizionata da un cacciatore di frodo. Tale partizione filmica avrà un bilanciamento magistrale nel finale con il momento "pietistico" in cui L.T. abbraccia disperato il cadavere di Aaron: c'è un rovesciamento di prospettiva laddove il lupo la faceva franca perché predatore onesto, colpito vigliaccamente; Aaron, invece, è una preda feroce, inseguita per le sue malefatte e destinata, dunque, a soccombere senza possibilità di salvezza (come spesso capita ai personaggi delle pellicole di Friedkin).

E' in questo modo che il rincorrersi, la fuga, il nascondersi e le decisioni da prendersi sul momento, rappresentano la vera e propria ossatura formale del film. A Friedkin non interessa portare a conoscenza dello spettatore il modus operandi del serial killer: vedremo il corpo fatto a pezzi dei due cacciatori, e solo per pochi istanti, esclusivamente dalla serie di fotografie scattate sulla scena del crimine, dopo però aver saggiato direttamente la fase dell'appostamento e della "cattura" dei cacciatori.
Il regista americano tende a far risaltare la psicologia dell'omicida dalle sue tecniche guerriere, dal suo animalesco istinto di sopravvivenza, dalla sua capacità di mimetizzazione, dalla sua velocità di corsa. Le tracce di sangue, le orme, i piccoli indizi, l'"odore" della "preda" e l'immagine di Aaron "nascosta" da fotogrammi istantanei, costituiscono materia tangibile e vere derivazioni organiche del fuggiasco, allo stesso modo dei pezzi in decomposizione di Seth Brundle ne La mosca di David Cronenberg o ancora, meno pleonasticamente, delle orme impresse sulla neve de L'uomo invisibile di James Whale.

E quando durante l'inseguimento la macchina, rompendo il ritmo dell'azione, indugia per un attimo su un mimo immobile, completamente truccato di bianco, ci si trova dinanzi ad un'altra probabile traccia, ad un'altra possibile impronta: quella dell'umanità attonita e impotente dinanzi all'inarrestabile foga omicida nonché all'efferatezza di certi delitti (che potrebbero benissimo essere altri delitti).

Ritroviamo in The Hunted, inoltre, anche altri topoi del cinema di questo sottovalutato (almeno negli ultimi tempi) regista americano, come i flashback subliminali per sottolineare i vari ricordi, le ambientazioni naturali trattate come elementi vitali della messa in scena (idea già esaltata da Friedkin ne L'albero del male e ne Il salario della paura) nonché la narrazione protesa in un arco transeunte che va dal basso verso l'alto (la fase del cruciale inseguimento urbano, sottolineata da una colonna sonora di rara efficacia, prende avvio nei sotterranei del cantiere per concludersi sul punto più alto del ponte; la seconda comincia dal tuffo nel fiume per poi far risalire lentamente il punto gravitazionale del film nelle zone boschive che circondano le acque, e ciò fino all'inevitabile epilogo).

Altra nota positiva è quella della colonna sonora che, come spesso capita nei film polizieschi di Friedkin, non si limita a sottolineare l'azione, bensì funge da innesco nelle scene d'azione, avviandone il corso ed innervandone costantemente il ritmo, in un forsennato gioco al rimpiattino di grande efficacia.
E' un film, in conclusione, dove ritroviamo la visione, unica ed inimitabile, di un grande cineasta. Per cui non si può restare indifferenti dinanzi a The Hunted, e ciò grazie anche alle straordinarie interpretazioni di Benicio Del Toro e di Tommy Lee Jones.