Recensione Eraserhead - La mente che cancella (1977)

Un film che pur non mostrando eccessivi spargimenti di sangue e senza ricorrere a effetti particolari, è capace di rimanere impresso nella memoria per lungo tempo.

L'incubo paradossale di un normale pazzo

Il regista di questo capolavoro ha detto del suo film: un sogno di cose oscure e inquietanti. Senza dubbio ha centrato il punto, anche se forse è una definizione volutamente riduttiva e modesta. In realtà è un film che pur non mostrando eccessivi spargimenti di sangue e senza ricorrere a effetti particolari (costò poche migliaia di dollari), è capace di rimanere impresso nella memoria per lungo tempo. Come nelle altre opere di David Lynch l'immagine assume un ruolo fondamentale, molto più importante delle parole. La storia di questo uomo allucinato la cui moglie epilettica partorisce un mostro, il teatrino che egli intravede tra gli elementi di un termosifone, i sogni senza capo nè coda in cui la sua testa mozzata viene portata in una fabbrica per farne gommini per cancellare...una sorta di lungo incubo mozzafiato in cui i tempi si dilatano, le immagini si staticizzano e i suoni vengono ripetuti fino all'ossessione uditiva. Anche se non sembra esserci collegamento neanche tra le varie sequenze, in realtà tutto l'apparato visivo filmico è preposto a creare una angoscia profonda che deriva dalla relativa insensatezza di ciò che si vede, in rapporto alle possibili chiavi di lettura e interpretazioni che abbracciano numerosi campi, sfiorando perfino lo studio analitico della psiche disturbata.

Il film è girato in un bianco e nero molto contrastato per far risaltare i volti e gli ambienti, in forma semiamatoriale (e in questo c'è una nota di documentarismo che rende ancora più particolare il tutto), per gran parte in una stanza squallida che mette in evidenza la solitudine interiore del protagonista tanto quanto la sua difficoltà a rapportarsi col mondo.
Già in quest'opera si notano le qualità registiche di Lynch, che saranno ampiamente confermate nei successivi lavori. Qualità di regista e uomo controverso, che può suscitare solo due tipi di reazione: adorazione, o odio. Proprio per il suo estremismo, è un film che magari non tutti (parlo in relazione allo spettatore medio dei nostri giorni, paladino dei film facilmente fruibili e poco impegnativi) possono accettare nel suo essere psicologicamente provocante.
Qua si arriva al paradosso cinematografico nella non-azione, nel voler rappresentare qualcosa senza farla vedere, ma lasciando all'immaginazione del singolo il compito più duro.

Se mi si chiedesse di definire una categoria di persone a cui potrebbe piacere questa pellicola, mi troverei veramente in imbarazzo. Tutto, infatti, dipende dalla propria sensibilità nei confronti del cinema inteso come mezzo di espressione e arte pura, senza le contaminazioni di coloro i quali girano qualcosa solo per piacere al maggior numero di persone.