Recensione Musikanten (2005)

Musikanten è una sorta di biopic incentrato sugli ultimi anni di vita di Beethoven, anni duri a causa dei problemi di salute e dell'inasprimento caratteriale del maestro, il tutto inserito in una cornice contemporanea

L'incubo di Beethoven

A volte, nel mondo dell'arte, capita di imbattersi in operazioni di cui è difficile cogliere il senso e il valore. In questi casi sulla critica che, necessariamente, si trova a dover giudicare con obiettività il risultato finale si abbatte la mannaia dei censori preventivi che, senza nemmeno conoscere l'opera in questione, puntano il dito contro i giornalisti rei di fischiare e stroncare tutto ciò che non si confà al loro giudizio quanto mai parziale. Situazione che si è verificata puntualmente al Festival di Venezia con Musikanten di Franco Battiato, ma che aveva avuto un prologo l'anno precedente con le polemiche esplose in seguito all'accoglienza riservata a Ovunque Sei di Michele Placido. Premettiamo che i due film, se si esclude un disastroso risultato artistico e una certa tendenza all'onirismo, hanno ben poco in comune, compreso il temperamento dei due autori perché mentre Placido si è scagliato immediatamente contro i propri detrattori con tonante veemenza, Battiato, con stile molto più british, ha preferito trincerarsi dietro l'etichetta di autore d'elite, e, in quanto tale, produttore di un'opera incomprensibile e, di conseguenza, inapprezzabile ai più.

Nonostante l'indubbia stima riposta nel Battiato musicista, dopo la visione di Musikanten risulta veramente problematico parlare di un lavoro che non può che essere definito imbarazzante. Musikanten è una sorta di biopic incentrato sugli ultimi anni di vita di Beethoven, anni duri a causa dei problemi di salute e dell'inasprimento caratteriale del maestro, il tutto inserito in una cornice contemporanea con protagonisti Sonia Bergamasco e Fabrizio Gifuni nei panni di due autori televisivi interessati a realizzare un programma sull'aldilà dal titolo "L'Altrove". E' proprio l'incontro con uno sciamano a favorire la regressione ipnotica della Bergamasco ad una sua vita passata, quella in cui era il principe Lichnowsky, amico e mecenate di Beethoven. Battiato rivendica la veridicità del contenuto dell'operazione (gli episodi della vita del musicista sono tratti per lo più dai suoi epistolari, anche se talvolta viene mutato il contesto in cui essi accadono) e la necessità di riproporre l'esistenza di un grande uomo come modello per l'umanità in tempi funesti e volgari come quelli in cui viviamo. La prima cosa che viene spontanea chiedersi è se ci troviamo davanti a uno scherzo ben congegnato per scandalizzare e dare una scossa al pubblico o se Battiato è veramente convinto della sua opera. Il dubbio è più che legittimo perché quello che ci troviamo di fronte a stento può essere definito film.

Lo stile intellettual-autoriale è dato dall'accozzaglia causale di immagini ottenuta mescolando riprese analogiche a inserti digitali di qualità infima con la telecamera piazzata nelle posizioni più assurde, i tempi del montaggio sono per lo più errati e la parte centrale ambientata nell'Ottocento risulta lenta e pesante, inesistenti fotografia e scenografia. A dir poco problematica anche la scelta del registro interpretativo dei protagonisti: Battiato ha chiamato a far parte del cast alcuni giovani e talentuosi attori italiani come Fabrizio Gifuni, Sonia Bergamasco e Chiara Muti per poi relegarli in ruoli quanto meno disagevoli, e se la Bergamasco cerca comunque di salvare il salvabile provando a risultare il più possibile convincente nei panni di un uomo dell'Ottocento non si può dire lo stesso di Gifuni, suo compagno di set e di vita, che vaga senza meta per la campagna tedesca con tanto di parruccona e sorrisetto perennemente stampato in faccia parlando con un accento teutonico che farebbe invidia agli Sturmtruppen. Nei panni del grande musicista tedesco troviamo addirittura il regista cileno Alejandro Jodorowsky in una esagitata prova recitativa difficilmente giudicabile. Questa direzione (o non direzione) degli attori viene motivata da una scelta "volutamente" antinaturalistica e ovviamente non possiamo che chiedercene il perché, senza per altro trovare una risposta adeguatamente convincente. Ma ciò che veramente sconvolge, e provoca le tante vituperate risate che hanno accolto la proiezione veneziana, è la sceneggiatura scritta a quattro mani da Battiato con il suo mentore, il filosofo Manlio Sgalambro. Difficile trovare altrove una simile mescolanza di frasi fatte, accenni alla metempsicosi e all'onirismo, riferimenti mitici e storici, citazioni di Wittgenstein, nonsense e battute del tenore di "Prenda contatto con l'alluce destro" o "E' nell' ordine delle cose sognare Beethoven" pronunciate con tono drammaticamente enfatico, capaci di generare un umorismo involontario che dilaga fino a raggiungere il culmine nell'incredibile finale, un coup de theatre come non se ne vedevano da anni, il ritorno al presente dopo il lungo flashback/regressione ipnotica e la scoperta di un colpo di stato e della conseguente presa di potere da parte di un fantomatico partito democratico del mondo. Risate fino alle lacrime e applausi. Peccato che quello che abbiamo visto, in realtà, non era un film comico.

Movieplayer.it

1.0/5