Recensione L'importanza di chiamarsi Ernest (2002)

Il film di Oliver Parker ispirato alla famosissima commedia di Oscar Wilde, cercando di affrancarsi dal testo teatrale, perde però l'acutezza e la crudeltà del testo originale.

L'importanza di essere fedeli

Nuova messa in scena cinematografica per The importance of being Earnest, commedia ironica e mordace del grande Oscar Wilde, a opera di Oliver Parker.
Peccato che Parker abbia deciso di non attenersi al testo dell'opera, ma l'abbia voluta trasformarla appunto in un oggetto cinematografico. Si avverte subito infatti il tentativo del regista di allungare il testo e di aumentare gli scenari. E se questo lo porta ad aggiungere anche l'episodio Gribsby che Wilde aveva tagliato dalla versione definitiva (che comunque si rivela divertente, nel suo aumentare il gioco degli equivoci), non si comprende come mai alcune battute vengano invece eliminate, togliendo al testo quella corrosione che rimane attuale anche oggi, oltre ad aggiungere un episodio quantomeno grottesco, quello del tatuaggio, volto a stuzzicare la comicità più truce.

La messa in scena inoltre è spesso sovrabbondante, risultando spesso kitch.
Per quanto riguarda la recitazione, qui bisogna fare delle distinzioni; a fare da contraltare a un discreto Colin Firth nella parte di Ernest, a una buona prova di Frances O'Connor nel ruolo di Gwendolin e soprattutto alla gelida e imperiosa Lady Bracknell di Judy Dench, troviamo però una Reese Witherspoon anonima e soprattutto Rupert Everett che in questa parte tende troppo alla caricatura, togliendo di mordente al bellissimo personaggio di Algy.
Se quindi L'importanza di chiamarsi Ernestnon può essere ricordato come un capolavoro, rimane comunque un prodotto piacevole, soprattutto grazie al genio del mai tramontato Oscar Wilde, una commedia degli equivoci, che ci mostra ancora oggi come l'ipocrisia sia sempre più diffusa, e come a volte però serva.