L'estate di Martino: regista e cast al Festival di Roma

Il regista esordiente Massimo Natale ha presentato la pellicola alla stampa accreditata alla kermesse capitolina.

Un'estate, quella del 1980, che sembra come tutte le altre, fatta di giornate in spiaggia e di falò notturni, e che invece finisce per cambiare la vita non solo dei giovani protagonisti ma anche di tutto il Paese: è questo il punto di partenza dell'esordio cinematografico di Massimo Natale, in bilico fino all'ultimo tra fiaba e realtà. Ripercorrendo con il ricordo la vicenda fantastica del pirata Dragut, eroe di mille imprese per amore di una principessa triste, il quattordicenne Martino si innamora di Silvia, la ragazza di suo fratello maggiore, e stringe amicizia con capitano Jeff Clark, di stanza alla base americana che occupa la sua spiaggia preferita. Nonostante il disprezzo che i suoi amici, forti dell'orgoglio operaio più per sentito dire che per una reale consapevolezza, dimostrano nei confronti dei militari, specie dopo la tragedia di Ustica, Martino vedrà in Clark semplicemente qualcuno che può insegnargli il surf. In questa inaspettata amicizia Martino troverà una figura paterna comprensiva e in grado di ascoltare, e parallelamente Jeff comprenderà le ragioni del rapporto conflittuale con il proprio figlio.

L'estate di Martino, coprodotto dalla Movimento Film di Mario Mazzarotto e da Rai Cinema, è stato presentato oggi alla stampa dal regista e dal cast quasi al completo (ma in cui spiccava l'assenza di Treat Williams), composto dal giovanissimo Luigi Ciardi (Martino), Matilde Maggio (Silvia), già vista in Vallanzasca e Rasputin, e ora al lavoro in Manuale d'amore 3, Pietro Masotti (il fratello Massimo), Simone Borrelli, Matteo Pianezzi, Renata Malinconico (gli amici Andrea, Luca e Serena) e Silvia Delfino (la madre di Martino e Massimo.

Come è nata l'idea del tuo esordio al cinema dopo una lunga carriera completamente diversa?
Massimo Natale: Dopo venticinque anni dietro le quinte, e dieci di teatro in cui ho rubato il mestiere a un grande maestro come Garinei, abbiamo prodotto un documentario con Mazzarotto e poi altri piccoli spot televisivi. Lui aveva questo copione, perché diversamente da molti registi esordienti io non ho scritto soggetto e sceneggiatura, e così abbiamo deciso di collaborare ancora.

La frase di chiusura del film è "sognare non vuol dire dimenticare". La memoria è molto importante nella pellicola, e funge anche da cornice. Come avete preparato questo salto temporale?
Massimo Natale: E' nato dalla voglia di fare quasi un salto mortale senza rete: il 1980 è un anno a me particolarmente caro perché è quello dei miei diciotto anni, di quando si fa la maturità e senti finalmente di essere diventato grande. Per noi poi è stato molto particolare, perché abbiamo incontrato subito la vita vera attraverso la strage di Bologna. Incrociare l'atmosfera di spensieratezza con la vita reale, il primo amore con la favola, è il tentativo di dare agli spettatori la voglia di sognare. Bisogna recuperare la voglia di sognare, perché sognando si vira al rosa: è importante non dimenticare, ma cercare di andare avanti comunque
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Come è nata l'idea di chiamare Treat Williams? Il film ha molti echi del cinema americano, in particolare di Un mercoledì da leoni.
Massimo Natale: Noi abbiamo cercato di distaccarcene il più possibile in realtà, non volevamo fare Un mercoledì da leoni dei poveri. Si parla sì del surf, ma è un'esperienza più che altro raccontata, visivamente evocativa ma non così acrobatica, cosa che peraltro negli anni Ottanta ancora non era. Treat Williams è stato innanzi tutto un mio personale innamoramento, sono legato alla figura che aveva interpretato in Hair: in lui cercavo il volto da militare classico ma che mantenesse una certa umanità, non un Rambo ma un uomo lacerato. La cosa più faticosa è legata al suo modo di parlare: in realtà parlava italiano benissimo, solo che aveva uno spiccato accento napoletano, visto che ha imparato la lingua da Vittorio Caprioli.

Quanto ha influito sulla tua esperienza il lavoro di tuo padre Mario?
Massimo Natale: E' una cosa che si impasta con il carattere, poi da giovane seguivo papà e ho avuto la possibilità di vedere molti set interessanti. All'inizio ho lavorato con lui, ma anche con Sordi e Proietti. Per fortuna questo è un mestiere che si fa anche rubando.

Questo è l'inizio della tua avventura cinematografica? Hai già altri progetti?
Massimo Natale: E' un inizio, e spero di non aver fatto il primo e ultimo film della mia carriera. Il fatto che Mario Mazzarotto non sia ancora scappato mi conforta, e colgo l'occasione per ringraziare lui e anche Carlo Brancaleoni di Rai Cinema. Io penso che i produttori dovrebbero essere trattati come dei panda, andrebbero protetti perché sono l'anima del nostro cinema, scommettono sulle idee. A me hanno aiutato tante volte a superare dei momenti difficili, con le buone ma anche con le cattive. Per il futuro ho altri due progetti, intanto però vediamo come andrà domani la proiezione con i ragazzi.

A voi ragazzi cosa è piaciuto di più dei vostri personaggi?
Luigi Ciardo: Sono molto felice di aver interpretato questo ruolo e penso di rispecchiare la personalità di Martino anche nella realtà. Sono contento anche del rapporto che si è creato con il cast e con il regista.
Matilde Maggio: Sono d'accordo con quello che ha detto Luigi, è stata un'esperienza bellissima lavorare con tutti loro. La cosa più bella è stata innamorarsi di Martino, non solo nel film ma anche fuori, perché lui è un mondo completamente a parte. Ci siamo avvicinati molto e ne sono felice, perché è un ragazzo molto particolare che non può non emozionare.
Pietro Masotti: Per me la cosa più interessante è stato compiere un percorso a ritroso: io sono pugliese, ma quando mi sono trasferito a Roma per studiare all'Accademia la prima cosa che hanno fatto è stato togliermi l'accento. Quindi per questo film ho dovuto riconquistare le mie radici e anche la mia provincialità. Mi ha colpito molto anche il rapporto tra i due fratelli; anche io ho un fratello e spesso ci comportiamo in maniera simile, con una violenza anche premurosa, che va a sostituire quel dialogo che la differenza di età non permette.
Renata Malinconico: Il mio è forse il personaggio più piccolo, ma mi ha colpito molto il rapporto che abbiamo creato con Matilde e anche con il resto del cast. Eravamo un gruppo coeso, come se fossimo davvero amici da una vita.
Simone Borrelli: Io rappresento la coscienza social-popolare, il militante diciamo. Per immergermi nello spirito di quegli anni ho lavorato su mia madre, sull'esperienza di chi ha provato a cambiare il mondo e di chi credeva in qualcosa. Credo che sia molto importante un percorso simile, soprattutto nella società contemporanea in cui siamo tutti disillusi.
Matteo Pianezzi: Io invece rappresento l'altro aspetto di quegli anni, il mio personaggio è assente dalla vita reale, coglie solo il lato divertente della dissidenza. Il segno del mio personaggio è l'ironia, è quello che unisce il gruppo nonostante la durezza dei fatti con cui si scontra.
Silvia Delfino: Per me interpretare il personaggio della madre di Martino è stato difficile; nonostante l'età io sono un'esordiente al cinema, dopo quasi vent'anni di teatro. Nella recitazione la fisicità è fondamentale, mentre il mio personaggio è al 90% una voce fuori campo, e far arrivare l'amore e la dolcezza di una madre solo attraverso le parole è stata una bella sfida, che spero di aver vinto.

Questo è un festival con molti padri. Ma secondo te il padre e la madre in un certo senso si scelgono, aldilà della parentela biologica, magari anche attraverso il surf?
Massimo Natale: Personalmente sono stato fortunato, perché il mio padre biologico me lo sono anche scelto. Ma con i padri bisogna andare d'accordo e non sempre ci si riesce. In questo caso ho estremizzato il conflitto tra Martino e suo padre per mandare un messaggio; il padre del protagonista qui è veramente un'icona dell'operaio antiamericano, un personaggio del tutto negativo che serve a far capire da cosa Martino stia scappando.

Non trovi che un finale come questo sia troppo amaro, specie considerato che il film è presentato in una sezione per ragazzi?
Massimo Natale: Il finale è stato a lungo motivo di discussione e io me ne prendo la piena responsabilità. E' nato dalla mia voglia di non fare un epilogo alla "e vissero tutti felici e contenti", ma di creare una favola ambientata nel mondo vero. Io sono un romantico, sarà per questo che ho sempre un po' voglia di piangere.
Gianluca Giannelli: Io credo che il tema sia trattato con molta delicatezza, e anche il finale si riannoda all'atmosfera da favola che pervade il film: è triste ma anche salvifico.
Massimo Natale: Cambiare il finale rispetto alla realtà è anche un voler inseguire la favola; si è trattato di una provocazione, ma ci ha confortato avere in questo l'appoggio dell'associazione delle vittime del 2 agosto, così come anche del Presidente che ha letto la sceneggiatura e l'ha sostenuta da subito.
Mario Mazzarotto: Sono molto contento di aver prodotto questo film, ringrazio Massimo per averlo fatto con me e ovviamente anche il festival per averlo ospitato. Mi piace vedere su questo palco un cast giovane e sono orgoglioso di poter dire "largo ai giovani". Per quanto riguarda il finale, è giusto che ognuno si componga il proprio, ma per me è un film di speranza, per cui può esistere un mondo migliore e pacifico.
Carlo Brancaleoni: Io credo ancora nelle favole e credo sia per questo che il film mi ha tanto colpito. E' per me una grande soddisfazione essere qui e spero di raggiungere, con questo progetto, coloro che credono che l'amore possa cambiare il mondo.
Nel rapporto tra il capitano Clark e suo figlio hai rappresentato il legame con tuo padre?
Massimo Natale: No, in quel rapporto c'è il totale terrore di essere genitore di una bambina di cinque anni, che a diciotto anni farà le sue scelte, anche se, fosse per me, la metterei subito in convento. Ho cercato di trasporre quella paura nel racconto che il capitano fa del rapporto con il figlio.
Hai un rapporto speciale con il mare e con il surf?
Massimo Natale: Essendo siciliano, con il mare assolutamente si, inoltre sono un ex nuotatore. Con il surf ho provato, ma dopo aver rischiato una frattura multipla ho deciso che non era lo sport per me.
Luigi, non ti ha intimorito lavorare con un'icona come Treat Williams?
Luigi Ciardo: Sapevo che era il protagonista di Hair sebbene non l'abbia visto in quel ruolo. Lavorare con lui è stato fantastico, non riesco nemmeno a descrivere l'emozione che ho provato; lavorare con un attore americano è già un traguardo importantissimo per me.
A voi ragazzi cosa rimarrà di più di questa esperienza?
Pietro Masotti: Io credo che più di tutto rimarrà impresso il clima di quegli anni.