Recensione Kinsey (2004)

Ispirandosi alla vera storia del ricercatore Alfred Kinsey, i cui studi sul sesso scandalizzarono gli USA negli anni '40, Bill Condon dirige un film dalla forte carica divulgativa, la cui riuscita è dovuta soprattutto a un ottimo Liam Neeson.

L'educazione sessuale di una nazione

Ispirato alla vera storia di Alfred Kinsey, ricercatore che, alla fine degli anni Quaranta, diede una sferzata a un'America puritana e sessuofoba con le sue ricerche sul comportamento sessuale degli uomini, questo film si presenta come un appassionato tentativo di rendere giustizia a un individuo che in vita fu fortemente osteggiato per il suo lavoro, oltre che come fotografia di un ambiente e una mentalità che oggi appaiono lontanissimi, nonostante il relativamente breve lasso di tempo trascorso.

Strutturato come una lunga intervista allo stesso Kinsey, durante la quale il biologo ripercorre tutte le fasi della sua carriera, il film ci mostra la lenta trasformazione del protagonista, da timido professore all'università dell'Indiana, dedito allo studio delle vespe delle galle, ad appassionato scienziato, animato da un fervore quasi illuminista nel voler trasmettere ai giovani americani nozioni su una sfera del comportamento umano fondamentale quanto "rimossa" dagli studi dell'epoca, come quella sessuale. La mutazione del personaggio, dapprima forte sostenitore della famiglia e ancorato ai valori reazionari trasmessi dai suoi genitori, è in effetti sorprendente, ed è ottimamente resa da un Liam Neeson a cui si deve gran parte della riuscita del film: lo sguardo, il portamento, lo stesso modo di parlare e di agire del protagonista si trasformano gradualmente e inesorabilmente nell'interpretazione di Neeson. La sceneggiatura, senza tralasciare la dimensione privata della vita di Kinsey (che vediamo fortemente influenzata dalla sua realtà di personaggio pubblico) si concentra soprattutto sul dirompente effetto che le ricerche del biologo ebbero su vasti strati di popolazione americana, un vero e proprio "squarcio" in un muro di bigotto e deleterio silenzio, molti anni prima della rivoluzione sessuale degli anni '60; un effetto esplosivo che inevitabilmente porterà allo scontro con le autorità accademiche e alla problematica presa di coscienza, da parte del protagonista, di essere sempre più isolato. Un isolamento che avrà inevitabili ripercussioni sulla sua vita privata, nella quale le contraddizioni di una predicata "liberazione" dei costumi sessuali andranno a scontrarsi con gli affetti (in particolare con quelli familiari) e finiranno per intaccare la stessa armonia del team di lavoro del ricercatore.

La regia di Bill Condon ha un taglio classico, e si caratterizza per un notevole vigore divulgativo, lo stesso con il quale Kinsey produce le sue orazioni; non eccedendo con la retorica e sottolineando in modo intelligente i momenti maggiormente problematici, quelli in cui vediamo lo "scontro" del protagonista con le istituzioni, Condon dirige il film in modo molto semplice ed efficace. Nel cast, ottimamente assortito, oltre al già citato Neeson vanno ricordati un'efficace Laura Linney nel ruolo della donna che contribuisce a cambiare la vita del protagonista, un bravo e ambiguo Chris O'Donnell, che dà vita a un convincente ritratto di Wardell, il primo assistente di Kinsey, senza dimenticare la presenza di John Litgow (che interpreta il padre del biologo), il cui ruolo, per quanto temporalmente limitato, resta impresso per una bella scena di dialogo tra padre e figlio, momento coinvolgente e affidato interamente alla bravura dei due attori.

Un film, complessivamente, da vedere per la sua carica divulgativa, che rinuncia a qualsiasi sperimentalismo per raccontare una storia in modo molto classico; cinema che riesce a coinvolgere grazie alla veemenza della narrazione, caratterizzato da una sincerità di base che sicuramente basta per renderlo apprezzabile.

Movieplayer.it

3.0/5