Recensione Europa (1991)

Leo è Dante e la voce off il nostro Virgilio; il mezzo è in questo caso un treno che qui agisce come metafora dell'immaginario filmico, infatti non a caso lo scorrere delle rotaie è sia richiamo della ripetitività del cinema, sia dello scorrere funambolico della pellicola qui ideale specchio d'acqua che ci collega all'inferno.

L'antitesi di Dogma

Europa di Lars Von Trier è il capitolo conclusivo della E-trilogy composta da L'elemento del crimine (1984) e Epidemic (1987); quest'ultimo racconto, vincitore ex-aequo a Cannes del Premio della Giuria (l'altro film era La bella scontrosa di Jacques Rivette), conclude uno sguardo su una Europa decadente e decaduta, spesso invasa da un'acqua impura e a tratti biblica, che immerge quel luogo narrativo e geografico dove i vari personaggi affogano nelle loro storie.

Dalle storie di un detective ed un dottore, passiamo alla storia nella Storia di Leopold Kessler (Jean-Marc Barr) giovane americano di origine tedesca che torna nella terra dei padri all'indomani del termine del secondo conflitto mondiale. E' un idealista, Leo, infatti torna non solo per scoprire la patria dei genitori, ma anche per contribuire, pur con un impiego modesto, alla rinascita di un paese morto. Lo zio (Ersnt-Hugo Järegård), controllore di un vagone letto per la compagnia ferroviaria Zentrop (nome della casa di produzione del regista), gli offre un posto di apprendista controllore che durante i suoi spostamenti lo porterà a conoscere non solo Kate Hartmann (Barbara Sukowa), figlia del proprietario della compagnia ferroviaria con la quale nascerà un amore sincero che si rivelerà manovrato, ma anche una Germania distrutta, devastata e decaduta non solo nelle strutture fisiche ma anche in quelle ideali e dell'animo umano. Kate si scoprirà essere appartenente ad un gruppo terroristico neo-nazista, i werewolf (lupi mannari), che accompagneranno Leo, manovrandolo, in un viaggio mortale verso la disintegrazione di un corpo già morto e mutilato.

Europa è un viaggio ipnotico dove Leo è Dante e la voce off il nostro Virgilio; il mezzo è in questo caso un treno che qui agisce come metafora dell'immaginario filmico, infatti non a caso lo scorrere delle rotaie è sia richiamo della ripetitività del cinema, sia dello scorrere funambolico della pellicola qui ideale specchio d'acqua che ci collega all'inferno. Il treno, espediente per scoprire una nazione distrutta, diventa anche trait d'union con la Storia; ogni diverso vagone rappresenta diversi momenti storici, dall'attualità della Storia e delle storie, al passato recente dove i vagoni di classe inferiore diventano improvvisamente i dormitori dei campi di sterminio. La distruzione fisica della grande nazione tedesca è rappresentata dallo scenografo Henning Bahs in modo espressionista, rimangono in piedi solo le strutture metalliche mentre il resto è distrutto e accumulato come fossero dei corpi in una fossa comune. La stessa casa degli Hartmann dove si consuma l'amore e il suicidio del padre e del figlio, è una struttura sventrata, dove i numerosi fori sulla parete sembrano invitare lo spettatore a guardarvici trasformandolo in voyeur. La popolazione-massa, infine, è un insieme di stracci logori schiavi dei conquistatori americani senza più leggi e morale, senza più voglia di amare ma spinti dall'inerzia meccanica di continuare a vivere come assassini e traditori.

La voce off guida il personaggio e lo spettatore in varie e diverse situazioni reali, dove l'entrata in ogni episodio è determinata da un conto alla rovescia, ed ecco ora i vari personaggi muoversi secondo ciò che la voce dice di fare. E' come una seduta psicanalitica, non a caso spesso lo stesso protagonista è sdraiato quando la mdp compie il movimento a spirale, e dopo la mente è aperta e le immagini si susseguono in modo quasi violento una dopo l'altra senza dare tregua. Il bianco e nero si scontra con il colore quando utile ad evidenziare momenti di forte impatto drammatico, numerosi nel corso del racconto; ma questo non è l'unico particolare di questa pellicola, infatti Europa è girato soprattutto in teatri di posa con inquadrature studiate e strutturate su piani diversi, utilizzando filtri e trattamenti sulla pellicola e colori.

Europa continua ad essere uno dei film meno amati dal regista danese nonostante il fatto che in esso la sperimentazione estetica non sia mai fine a se stessa, ma fondamentale passaggio di novità espressiva; Europa è un Dogma, anzi il primo vero Dogma di Trier, perché antitesi di ciò che elabora in seguito.