Recensione Hafez (2007)

Hafez è un'opera di non facile lettura, ricca di simbolismi, di contrasti, dei tratti atipici di quelle persone dalla cultura così diversa dalla nostra che noi occidentali che ancora fatichiamo a capire fino in fondo.

L'amore negato

Una bizzarra co-produzione Iran/Giappone porta in concorso alla Festa del cinema di Roma l'arte e l'amore di Shams-Al-Din Mohammad Hafez, poeta persiano nato in Iran 700 anni fa. Hafez è il racconto di una storia d'amore strozzata, più che una vera e propria biopic sull'artista, e della missione proibitiva per poterla vivere. Il giovane teologo, esperto conoscitore del Corano fin dalla più tenera età, si innamora infatti della sua allieva, la quale apprende pazientemente i versetti attraverso un muro che la separa dal maestro, ma il suo dolce sentimento e l'impudenza d'aver scritto poesie d'amore proibite ai religiosi costringe i due a stare lontani, neutralizzando così la possibilità per i due amanti di lasciar libere di esplodere le proprie pulsioni più intime. L'unico modo che Hafez ha di dimenticare la ragazza è superare le sette prove dello specchio: egli dovrà infatti trovare sette vergini in sette diversi villaggi disposte a pulire uno specchio che nella leggenda contiene la verità sull'essere umano che lo possiede.

L'Iran è un paese che si offre allo sguardo nella sua aridità, un luogo ostile di polvere e case di pietra. Abolfazl Jalili, regista e sceneggiatore del film, ce lo fa conoscere con un tocco lieve, ma dalle ambizioni quasi antropologiche. I riti, la cultura, i precetti religiosi sono mostrati nel loro fascino, ma anche nella loro crudeltà. Il viaggio del giovane poeta nella sua terra, con uno specchio sotto braccio, alla ricerca della purificazione è quello di un uomo condannato per la propria arte e per quei sentimenti che la religione islamica vorrebbe castrare, un uomo che non sembra trovare un proprio spazio in alcuno dei luoghi nei quali si reca, ma che ad ogni passo capisce un po' di più della propria anima e del suo popolo. La religione ancora una volta soffoca gli slanci vitali dell'essere umano in perenne esilio in terre desolate, mentre la cantilena delle preghiere mormora continuamente nell'orecchio, allontanando dal senso della vita.

Hafez è un'opera di non facile lettura, ricca di simbolismi, di contrasti (il deserto/l'acqua, l'amore/i diktat religiosi, l'uomo/la donna), dei tratti atipici di quelle persone dalla cultura così diversa dalla nostra che noi occidentali che ancora fatichiamo a capire fino in fondo. Il film non riesce a regalarci un ritratto completo della figura di cui narra parte delle gesta e del pensiero, sceglie la via della metafora della storia d'amore per riflettere sull'Iran e sui suoi limiti culturali e religiosi, ma non sa entrare nell'animo dello spettatore per conquistarlo. Delle poesie Hafeziane, Goethe scrisse una volta che "bisognerebbe sudarsi anche l'anima per capirle", così anche lo spettatore deve sudare e tenere alta la soglia dell'attenzione per entrare nel film di Jalili, un ritratto pallido di un uomo domato dalla propria fede, più che il racconto di un poeta che scrive versi d'amore in una terra dove sembra così difficile amare.