Recensione Corpi impazienti (2003)

Un'opera prima sorprendente, non scevra da difetti ma con il raro pregio di saper scuotere lo spettatore. Un film vero, audace, diretto da un regista promettente; speriamo non si perda.

L'alba di un nuovo autore

Xavier Giannoli è al suo primo lungometraggio, dopo numerosi corti, (di cui l'ultimo L'interview è stato superpremiato)e visto il promettente risultato c'è da sperare in un ottimo futuro. Cosa è stato sufficiente per un così lodevole risultato, in un periodo in cui ben pochi registi europei e mostrano di avere buone idee, personalità e coraggio? Ben poco a quanto pare: talento, pochissimi soldi, ottime scelte e un buon romanzo da cui trarre la storia. Il film è infatti tratto dall'omonimo libro del 1995 a firma di Christian de Montella e narra di Charlotte e Paul, una coppia di venti anni sconvolta dalla scoperta di un tumore. Ad assistere la sfortunata Charlotte, non ci sarà solo Paul e la madre della ragazza, ma anche Ninon, una sua lontana e affascinante cugina che s'inseririrà in modo dirompente nella vita dei due ragazzi, fino ai drammatici momenti finali.

Se la cifra dominante dell'opera è la centralità dei corpi, il loro implicito potenziale espressivo e drammaturgico e la conseguente abilità nel riprenderli e "farli parlare", ciò non deve ingannare; il film è costruito bene in tutti i suoi dettagli: dalla sceneggiatura all'uso del sonoro, dalla fotografia alle ottime interpretazioni degli attori. E' proprio la naturalezza e l'abilità degli interpreti a sorprendere. Laura Smet (nella parte di Charlotte) è un'esordiente di lusso; mostra intensità e fascino insospettabili per una ragazza di diciannove anni, come d'altronde Nicolas Duvauchelle (Paul), attore assolutamente naturale, già scoperto dal cinema francese per ruoli decisamente diversi l'uno dall'altro. Non demerita assolutamente neanche Marie Denarnaud (Ninon), che domina bene un ruolo, più di maniera rispetto a quello dei suoi partner. E' a fronte di questi pregi, che al film gli si perdona anche qualche lieve caduta di tono e taluni eccessi morbosi, culminati nell'ormai usuale e inevitabile scena lesbica che sebbene più drammatica e meno gratuita di tante analoghe, toglie al film un po' di quella sua apprezzabile sincerità.

Se infatti la pellicola non ha di certo la solidità e il controllo narrativo di un film di Spike Lee o di Paul Thomas Anderson, per citare alcuni dei registi più ispirati degli ultimi anni, ha dalla sua: una forza visiva notevole e la capacità di emozionare e scuotere lo spettatore, senza dover appellarsi al banale binomio Eros-Tanatos, né a derive protopronografiche fintamente scandalistiche tanto di moda attualmente nel cinema indipendente e non solo. Ma poi in fondo l'elemento critico più fondante ce lo fornisce il regista stesso, quando sostiene: "Mi piace la sensazione, che a volte si prova al cinema, di assistere a una scena nel momento in cui viene vissuta. Quando si gira si è immersi in questa sorta di impazienza, si spera in una collisione che vada oltre quanto si è scritto, e che la cinepresa sarà dove deve essere per cogliere quei momenti e farli vivere, senza manierismi o affettazioni, che inaridirebbero le emozioni".
E noi lo lodiamo di questa impazienza, nella speranza la mantenga a lungo.