Recensione Forse Dio è malato (2007)

Un viaggio all'inferno narrato senza pietismi da chi nel cuore ha ancora una speranza, immagini crude e talvolta insostenibili alleviate da melodie di straordinario impatto che giungono a noi come un accorato grido di aiuto.

L'Africa raccontata da Veltroni diventa un film

"Forse Dio è malato..." sussurra sconsolato un missionario italiano di fronte ad un villagio di bidonville vicino Nairobi, dove per sopravvivere migliaia di persone, soprattutto bambini, frugano cercando ferro e cibo nei cumuli di spazzatura della discarica a cielo aperto. Intanto uomini e donne di buon cuore, che credono che un'Africa diversa sia ancora possibile, si occupano di bambini abusati sessualmente, di ragazzi resi orfani dall'AIDS o del recupero dei cosiddetti bambini-stregoni, piccoli innocenti scacciati e talvolta uccisi dalle loro stesse famiglie perché accusati di essere posseduti dal demonio. E poi l'Africa delle grandi città che mischia la morte con il benessere delle multinazionali, come accade a Johannesburg attorno ai palazzi luccicanti della De Beers o tra le calde sonorità e i paesaggi colorati di Dakar, fino alle zone più disastrate, quelle flagellate dalla disperazione più totale, dalla fame, dalle malattie, dalla guerra civile.

E' questa l'Africa raccontata prima da Walter Veltroni nel suo libro e poi dal regista Franco Brogi Taviani in Forse Dio è malato, novanta minuti che percorrono in lungo e in largo il Continente Nero raccontando (attraverso documenti filmati veri e ricostruzioni di fiction) storie di ordinaria disumanità viste con i propri occhi, vissute da troppo vicino per rimanerne distaccati. Un viaggio all'inferno narrato senza pietismi da chi nel cuore ha ancora una speranza, immagini crude e talvolta insostenibili alleviate da voci e suoni che attraversano tutta la pellicola e vanno a comporre melodie di straordinario impatto che giungono a noi come un accorato grido di aiuto. Una musica piena di speranza e che inneggia alla vita quella scelta dai realizzatori del film come sottofondo, composta dal nipote del regista, Giuliano Taviani, i cui testi sono stati scritti da Brogi Taviani e poi tradotti in inglese e in lingua sudafricana, nonché cantati, dalla giovane Siyavuia Mazukeni.

Un film consigliato a chi pensa di aver visto tutto sull'Africa, un'opera che offre una visione d'insieme a dir poco desolante e attraversa stati come il Mozambico, l'Angola, l'Uganda, il Camerun e il Sudafrica raccontando piccole grandi tragedie senza l'ausilio di una voce off né di didascalie inutili, dando unicamente spazio a voci e volti di chi questa immensa tragedia la vive sulla sua propria pelle. Come la famiglia di quel senegalese morto dopo il quarto tentativo di raggiungere clandestinamente la Francia nascosto nel carrello di un aereo, divenuto in patria un vero e proprio eroe, o come quel bambino che piange a dirotto perché la madre non è mai più tornata a prenderlo, o come le mamme sieropositive che hanno fondato una comunità di auto-sostegno e che preparano i Memory Book (i libri dei ricordi) per i loro figli perché sanno di essere vicine alla morte. Foto dell'infanzia, ricordi scritti parole di conforto, speranze e consigli da lasciare alle loro creature per il futuro, per ricordare loro che i loro genitori li hanno amati e che, nonostante tutto, la vita è bella da vivere.

Malgrado i temi trattati e le immagini talvolta insostenibili, i toni di questo istruttivo diario di viaggio rimangono tutto sommato sobri. La verità è che questo non è solo un film, è cinema verità, è racconto di vita vissuta, è la testimonianza tangibile di come il mondo che può non abbia mai neanche provato a cercare una soluzione a queste incredibili ingiustizie. Un monito rivolto a tutti noi, a politici e politicanti, ai mezzi di comunicazione, ai mille volti di chi predica una globalizzazione vera solo a parole.

Movieplayer.it

3.0/5