Kevin Costner presenta 'Terra di confine'

Venerdì 16 gennaio 2004, all'Hotel Excelsior di Roma, Kevin Costner ha risposto alle domande dei giornalisti italiani a proposito del suo ultimo film "Terra di confine".

Venerdì 16 gennaio 2004, all'Hotel Excelsior di Roma, Kevin Costner ha risposto alle domande dei giornalisti, durante la conferenza stampa organizzata da Medusa, riguardanti il suo ultimo film Terra di confine.

Secondo lei perché si producono pochi film western a Hollywood?
Credo che Hollywood sia riluttante a realizzarne perché raramente se ne fanno di buoni. Ci sono troppi cliché in questo genere di film, personaggi troppo stereotipati. Pensano che per fare un western siano sufficienti un cappello ed una pistola. Ci vuole ben altro perché gli spettatori possano immedesimarsi nel personaggio.

Il suo film è diverso? Terra di confine è un film molto semplice. Quattro uomini e la loro mandria vengono sorpresi da un temporale in mezzo ad una prateria. Uno dei personaggi dice che ci vogliono quattro giorni per radunare di nuovo il bestiame. E in quei quattro giorni qualcosa succede. Si può dire che è un evento meteorologico che mette in moto la catena d'avvenimenti della storia. I cowboy si trovano a dover affrontare una difficoltà. Se la mia vita diventasse difficile, se anch'io dovessi trovarmi di fronte ad uno o più ostacoli, mi comporterei come un cowboy farebbe nella stessa situazione.

Si è ispirato in qualche modo ai film di Sergio Leone?
Lo stile di Leone è molto lontano dal mio. Nei miei film non c'è l'audacia che lui metteva nel girare i suoi. Non si è mai visto nessuno in casa d'altri, nei film di Leone, raccogliere il fango dal tappeto e metterlo nel cappello per non sporcare.

La sua carriera ha avuto molti alti e bassi...
Io non sono il più famoso attore in America e nella mia carriera non ho mai fatto scelte in funzione del gradimento che ne avrei ricavato. Non ho mai fatto seguiti dei miei film semplicemente perché non ho mai avuto interesse a sfruttarne il successo per far altri soldi. Non sono e non mi sento una star del cinema. Sono solo un narratore.

A quasi dieci anni di distanza come considera oggi l'insuccesso di Waterworld?
Non so perché insistete nello scrivere che è stato un fallimento. Non è così. Ha incassato, nel complesso, quattrocento milioni di dollari. Quando venni a presentarlo a Venezia, i giornalisti europei lo stroncarono ricalcando le critiche americane, mentre il mio primo successo, Fandango, fu apprezzato proprio in Europa e non nel mio paese. Scrivete le cose come sono. Waterworld non è stato un insuccesso.

Cos'è il cinema per lei?
Il cinema è per me ciò che mi ha permesso di sentirmi bene da solo per la prima volta quand'ero ragazzo. Mi sentivo al sicuro nel buio della sala cinematografica. È lì che ho visto per la prima volta una coppia baciarsi ed è lì che ho dato il mio primo bacio. Avere il privilegio di fare film significa avere la responsabilità di realizzarli nel migliore dei modi perché da qualche parte nel mondo, in una sala cinematografica, ci sarà qualcuno che aspetta di vivere la stessa magia che ho vissuto io.