Jim Loach, Emily Watson e Rona Munro su Oranges and Sunshine

Il figlio di Ken Loach ha presentato il suo lungometraggio d'esordio al Festival di Roma, insieme alla protagonista, la straordinaria Emily Watson, e alla sceneggiatrice Rona Munro.

Figlio d'arte ma per niente spocchioso, Jim Loach. Un modo di essere che, in fondo, è coerente con l'umanità e l'impegno trasmessi nel suo lungometraggio d'esordio, Oranges and Sunshine: un film che tratta lo scottante tema della deportazione in Australia e dell'internamento in strutture religiose, in situazioni di sfruttamento disumane, di decine di migliaia di orfani inglesi negli anni '50. Il regista, che ha incontrato i giornalisti presenti al Festival di Roma, ha parlato del film e dei temi che affronta, insieme alla protagonista, la straordinaria Emily Watson, e alla sceneggiatrice Rona Munro.

Loach, come si è avvicinato a questa storia?

Jim Loach: Il mio interesse per questa vicenda è iniziato otto anni fa quando ho incontrato la sua reale protagonista, Margaret Humphreys. Sono rimasto subito colpito dalla storia di Margaret e di quei bambini, e il mio interesse è cresciuto man mano che si approfondiva il mio rapporto con lei. In seguito si è aggiunta anche Rona, e alla fine il film è stato il risultato del lavoro di noi tre e del rapporto che si era creato tra noi.

Il film si concentra sulla comunità di Bindoon e sugli abusi lì perpetrati. Tutto ciò che vediamo è storia, o c'è anche un po' di ideologia?
Jim Loach: Quello che si vede nel film è reale. C'è una denuncia delle colpe della Chiesa cattolica, ma parte di questa storia riguarda essa, era inevitabile parlarne. E' un'occasione ghiotta la presentazione del film proprio a Roma, vicino al Vaticano: fosse per me inviterei il Papa in persona all'anteprima del film, ma dubito verrebbe!

Come si è confrontato con l'eredità di suo padre?
Jim Loach: Non credo si possa fare un confronto tra i miei film e quelli di mio padre, ma è chiaro che i genitori ci influenzano sempre, ci ispirano: a loro dobbiamo ciò che siamo. Il film, in fondo, parla proprio di questo, di genitori e del loro rapporto con i figli.

Rona Munro, lei ha lavorato sia con Ken che con Jim Loach. Ci sono dei punti in comune tra i due?
Rona Munro: Entrambi hanno una certezza assoluta di cosa vogliono, ed entrambi riescono a comunicarlo in modo democratico. Inoltre, sia Ken che Jim raccontano le loro storie con empatia, con calore.

Emily Watson, come si è approcciata al film e al suo personaggio? E' stato un ruolo difficile?

Emily Watson: Il personaggio di Margaret non è il vero centro della storia, ma solo una donna che sta lì al servizio degli altri. I veri protagonisti sono gli ex-bambini deportati, Margaret non fa che raccontar loro le loro vite. Comunque è una storia che ti scuote e ti risucchia, profondamente: anch'io ho una famiglia e dei bambini, e pensare che una storia del genere sia accaduta davvero mi ha letteralmente sconvolta.

Loach, suo padre ha visto il film? Se sì, cosa ne pensa?
Jim Loach: Sì, l'ha visto un paio di volte. Non so dire precisamente cosa ne pensi, non parlo a nome suo, ma credo che in definitiva gli sia piaciuto. Penso soprattutto abbia apprezzato il personaggio di Len, contemporaneamente affascinante e pieno di energia: un personaggio che è l'antitesi della classica vittima, e anche di tutte le altre vittime presenti nella storia.

Quali possono essere state le motivazioni politiche di un'operazione del genere? Perché il governo inglese volle deportare una parte dei suoi cittadini più giovani in un'altra nazione?
Jim Loach: Ci sono innanzitutto delle ragioni economiche: pagare il viaggio in Australia ai bambini era molto meno costoso che fornir loro vitto e alloggio. Inoltre, la Chiesa ha svolto un ruolo importante in questa vicenda, così come il governo australiano: allora, l'Australia cercava di costruire una sua popolazione fatta di soli bianchi, e lo fece anche tramite operazioni come questa.
Emily Watson: E' stata una cosa tremenda, orribile. Ancora peggio se si considera che le vittime erano dei bambini, individui senza il diritto di voto, politicamente più condizionabili.
Rona Munro: Nel film c'è un personaggio che rincorre Margaret e le dice: "Devi capire, noi cercavamo di fare del bene". Per quanto assurdo possa apparire, in parte è anche così. Le madri di questi bambini, in gran parte, fecero una scelta, decisero di non poter badare ai loro figli: c'è da dire che la società nel suo complesso allora era diversa, e una madre non sposata non era vista di buon occhio. Anche questo elemento va considerato, nel valutare la scelta di quelle madri.

Qualcuno poi è finito dietro al banco degli imputati, per questa vicenda?

Jim Loach: Alcuni preti, in Australia, sono stati messi sotto accusa, ma ci sono state ben poche condanne, visto che alcuni erano morti, altri ormai troppo anziani. I politici inglesi coinvolti, invece, in gran parte hanno cambiato incarico, mentre altri si sono ritirati dalla vita politica.

Quando infine ci sono state le scuse da parte inglese alle vittime, queste scuse hanno visto favorevoli sia conservatori che laburisti?
Jim Loach: Sì, è stata un'assunzione di responsabilità condivisa da entrambe le parti, visto che, durante gli anni di cui parliamo, si sono succeduti governi di entrambi gli orientamenti.

La Chiesa cattolica ha assunto una posizione ufficiale sulla vicenda?
Jim Loach: Questa sarebbe un'ottima domanda da fare a loro, anzi, se riuscite a fargliela, per favore fatemi sapere cosa vi rispondono. Io posso solo dire che proteste vere e proprie non ce ne sono state, ma casualmente la vera comunità di Bindoon ci ha negato i permessi di girare nella loro sede, dove i fatti reali si sono svolti. La cosa non mi ha stupito affatto.

Lei con il film ha fatto una precisa scelta di campo, quella di raccontare una storia con un forte contenuto sociale. E' questa la funzione del cinema?
Jim Loach: Io credo che una storia, per valere la pena di essere raccontata, debba avere un forte contenuto, anche se drammatizzato e narrativizzato. Non penso il cinema abbia una funzione di puro intrattenimento, ma credo il suo compito debba essere anche quello di veicolare dei contenuti. Io sono stato fortunato ad avere una mente curiosa, mi sono sempre interessato a storie problematiche: nel caso specifico, spero che questo film serva a gettare luce su una storia per troppo tempo dimenticata. Una storia che, va sottolineato, non racconta di vittime ma di sopravvissuti.

Quanto è importante, nel film, la storia parallela della Margaret madre che trascura i suoi figli?
Emily Watson: Margaret è inciampata in questa vicenda quasi per caso, non lo ha scelto lei. Certo lei non prevedeva inizialmente di dedicarci così tanto tempo, ma alla fine ha dovuto, è stato inevitabile. Ci ha praticamente dedicato tutta la sua vita, ha iniziato a viaggiare spesso, e questo l'ha portata per forza di cose a trascurare i suoi figli. Per i figli non dev'essere stato facile avere una madre che faceva un'attività importante, mossa da nobiltà d'animo, che però li trascurava. In realtà, poi, trascurare è una parola forte, in realtà Margaret si assume un onere senza avere altra scelta: è da dire che lei sperava in un aiuto da parte del governo che non è mai arrivato. Il dilemma alla base del personaggio, comunque, è proprio questo: cosa fa una persona quando viene a conoscenza di fatti così terribili? Può veramente restare indifferente?

I veri protagonisti di questa storia hanno visto il film? Cosa ne hanno pensato?
Jim Loach: Margaret l'ha visto e ha detto di averlo apprezzato, ha trovato fedele il suo personaggio e ha detto di sentirsi perfettamente a proprio agio con esso.

Non credete che, in casi come questi, chiedere scusa non sia sufficiente? Specie quando sono coinvolte delle grandi religioni, come quella cattolica, non bisognerebbe piuttosto agire perché casi come questi non accadano più?

Emily Watson: Non c'entrano solo gli abusi sessuali: quello che è stato perpetrato su quei bambini è anche un abuso politico, un abuso dello stato su dei suoi cittadini. E' da dire, poi, che gli abusi sui minori sono sempre più difficili da portare alla luce, c'è sempre una certa reticenza a parlarne. Per quanto riguarda le scuse, io credo che si chieda scusa quando per sbaglio si va a sbattere con la macchina contro un'altra macchina, per esempio, insomma quando non c'è la volontarietà. Questa invece è una vergogna e basta.
Jim Loach: Le scuse sono un atto importante, anche se ovviamente non sufficiente: per le vittime, soprattutto. Per loro niente sarà mai sufficiente, visto che nessuno potrà mai riparere al danno che hanno subito. Per quanto riguarda la Chiesa, una cosa che potrebbe fare è permettere a chiunque di indagare su dei loro esponenti, anziché fare di tutto per insabbiare, come spesso hanno fatto.

Perché Jim Loach pensa che Emily Watson sia un'attrice così efficace, e viceversa perché Emily Watson pensa sia efficace Jim Loach?
Emily Watson: Jim è l'unico regista con cui abbia lavorato di cui nessuno si è mai lamentato sul set. Mai visto sorgere un problema durante la lavorazione del film. Lui in realtà è un maniaco del controllo, ma ti presenta le cose come se fosse tutto liscio e semplice, te le fa accettare senza problemi. Ha una visione molto chiara di quello che vuole, e letteralmente ti ammazza con la sua gentilezza. In realtà, girare questo film è stata un'esperienza molto difficile, faticosa per molti versi, ma lui sa come farti accettare anche le difficoltà più pesanti.
Jim Loach: Io mi sono sentito un privilegiato, quando Emily ha accettato. Lei sta dentro al personaggio, letteralmente lo vive nel momento, ci entra e ne sente le emozioni. E' questa la caratteristica che la rende speciale.