Jennifer Lynch al Torino Film Festival con Chained

L'incontro con la regista che ha presentato nella sezione Rapporto Confidenziale, il suo ultimo lavoro, un film in cui il protagonista segrega un ragazzino, tenendolo in catene e allevandolo nel culto della violenza; 'Ma io mio padre David non lo uccido, gli voglio bene', ha raccontato questa mattina in conferenza stampa.

Jennifer Chambers Lynch appare radiosa e felice e non lo nasconde. Con un maglione rosa, gli stivali da neve e i lunghi capelli con le treccine sembra una turista come tante in visita a Torino e non la regista di un'opera controversa come Boxing Helena, che diresse nel 1993 a soli 19 anni, o l'autrice dell'oscuro Diario segreto di Laura Palmer, che suo padre David Lynch le commissionò per accompagnare I segreti di Twin Peaks. Non la si può accusare certo di amare le scelte facili, come quella che l'ha riportata dietro alla macchina da presa per la sua ultima fatica cinematografica, Chained, scelto dal Torino Film Festival per inaugurare la sezione Rapporto Confidenziale e distribuito in DVD e Blu-Ray dalla Koch Media a partire dal prossimo 6 dicembre. Quasi sulla scia della sua pellicola d'esordio, in cui un uomo realizzava il suo malato amore nei confronti della donna 'amata', amputandole gambe e braccia e rinchiudendola in una scatola, il film racconta ancora una volta la relazione malsana tra un tassista pazzo, Bob, interpretato da Vincent D'Onofrio, e la sua vittima, un ragazzino sottratto alla madre (Julia Ormond) e tenuto segregato in casa con delle catene. Allevato da quella figura paterna sui generis, Tim, ribattezzato Rabbit, cresce nel culto della violenza, obbligato a seppellire i corpi delle donne che Bob attira in casa e uccide. Almeno fino a quando non sarà in grado di liberarsi.

Jennifer, da quali elementi sei partita per costruire il tuo film?
L'immagine della catena è stata fondamentale per rendere l'idea dell'abuso, così come il fatto che la casa di Bob fosse spoglia, anzi direi vuota. Volevo che il vuoto presente all'interno di Bob, l'assenza di amore e gioia, fossero visibili anche fuori.

Anche il tema dello sguardo, del vedere e dell'essere visti gioca un ruolo importante nella pellicola...
E lo è in effetti. Ho sempre pensato che il cinema fosse la forma più pura di voyerismo, in fondo noi spiamo la vita di un'altra persona. Nel film e ci sono cose che Rabbit vorrebbe non aver visto e cose che invece a Bob sfuggono.

Ci racconti com'è stato lavorare con Vincent D'Onofrio?
Vincent è semplicemente un dio, e incontrarlo è stato uno dei doni più grandi della mia vita. Il bello di un attore come lui è che fa sembrare tutto quello che fa estremamente facile. Sono stata davvero felice che lui abbia avuto fiducia in me. A tutto il cast chiedevo di recitare in modo spontaneo e naturale per i rispettivi personaggi e non per loro. Un giorno gli ho chiesto di fare una cosa non scritta nella sceneggiatura. Ha chiuso gli occhi, ha detto, 'Va bene la faccio una volta sola' e gli ho risposto che l'avrei filmata. Vincent è schietto e sincero. E' un genio sottovalutato e sono orgogliosa del fatto che sarà nel mio prossimo film, A Fall from Grace. Un'altra commedia romantica (ride).

In Europa ci sono stati casi di cronaca agghiaccianti come il rapimento di Natascha Kampusch o quello di Josef Fritzl che abusò della figlia per oltre vent'anni, facendole partorire sette bambini. In qualche modo questi fatti ti hanno ispirata?
Sono presenti nel mio inconscio ma non posso dire di riferirmi a questi in maniera specifica. Quando scrivo un film, è successo da Boxing Helena in avanti, il mio principio guida è chiedermi cosa farei e direi se mi trovassi in quella situazione. Per tornare ai casi di cronaca, posso aggiungere che situazioni di tale gravità si ripetono da secoli, ma oggi se ne parla di più. L'aspetto più devastante è che il costo più caro lo pagano i bambini. Mi auguro che un film come questo possa smuovere il pubblico a farsi qualche domanda, in modo da essere pronto davanti ad una situazione che non quadra del tutto.

Dolore, violenza, abuso sui bambini.Tutto questo è preponderante in Chained, ma il finale lascia una speranza, uno spiraglio aperto per Tim...
E' così e non solo perché in genere sono una donna allegra, ma soprattutto perché volevo celebrare la purezza di un bimbo che non ha mai avuto amore. Tim si salva perché da qualche parte nel suo cuore è rimasto l'affetto che la madre è riuscita a dargli. C'è una possibilità per lui di avere amore e speranza ed esiste per ognuno di noi.

Qualche malizioso potrebbe sostenere che l'uccisione del 'padre' nel film possa alludere in qualche modo ad una sua riflessione sul rapporto con tuo padre David...
Bob muore perché non può più cambiare e Rabbit, dopo averlo ucciso, piange perché sa di aver avuto bisogno di lui per una certa parte della vita, ma questo non vuol dire in alcun modo che io voglia uccidere mio padre! Ci vogliamo bene, siamo amici. L'altra notte mi ha chiamata dalla Polonia solo per chiedermi se la prossima settimana lo avrei raggiunto a Parigi per una vacanza insieme, cosa che naturalmente farò. E' vero, i suoi film sono delle montagne incantate, ma solo perché li ha fatti lui. Se avesse fatto dei mobili, avrei amato quei mobili.

Gli ha chiesto se tornerà a girare un film?
L'ho davvero stressato su questo argomento, glielo chiedo sempre, ma stavolta forse è quella giusta. Lui ha bisogno di innamorarsi di una storia per più di due settimane e ora sta succedendo. Forse il prossimo anno si metterà al lavoro.