James Franco, un artista a tutto tondo al Festival di Roma

La star di L'alba del pianeta delle scimmie si racconta in un lungo incontro in cui parla delle sue esperienze nell'mabiente della sperimentazione artistica.

Un uomo per tutte le stagioni. Ad accogliere James Franco nella masterclass romana incentrata sul rapporto tra cinema e arti figurative troviamo accreditati cinefili e adolescenti scatenate che indossano la t-shirt 'I Love James Franco'. Schizofrenia inevitabile per un attore poliedrico che si cimenta nella scrittura, regia e produzione, dividendosi tra blockbuster di fama mondiale come la saga di Spider-Man (versione Sam Raimi) e L'alba del pianeta delle scimmie ed esperimenti registici di nicchia quali il biopic Sal, presentato lo scorso anno alla Mostra del Cinema di Venezia, e il brevissimo Dream. Il corto di un minuto accompagna Tar, altro biopic sperimentale in cui Franco, oltre a produrre, interpreta lo scrittore C.K. Williams. Maglioncino grigio, barbetta incolta, sguardo furbetto, James Franco arriva alla masterclass con mezz'ora di ritardo scortato dal direttore Marco Muller che giustifica l'attesa con l'assalto da parte delle fan appostate fuori dall'Auditorium.

James, quanto ha pesato la tua origine californiana nella passione per il cinema?
James Franco: Sono nato e cresciuto a Palo Alto, nella California del Nord. Andavo a scuola con la figlia di Steve Jobs, che era mia vicina di casa. Lì il settore trainante è l'informatica, mentre non c'è una vera e propria industria cinematografica, perciò, anche se amavo il cinema, non pensavo davvero di riuscire a trasformarlo nella mia passione. Quando frequentavo la scuola superiore assistevo all'ascesa di attori come River Phoenix che avevano iniziato a recitare da piccoli, mentre io avevo già 15 o 16 anni. Pensavo di essere troppo vecchio per la recitazione. Poi mi sono trasferito all'Università di Los Angeles per studiare letteratura, recitazione e cinema e sono entrato in contatto con l'ambiente. I miei genitori non hanno voluto iscrivermi alla scuola d'arte in cui tra l'altro aveva studiato Gus Van Sant perciò mi sono buttato sulla letteratura. Mio padre voleva che studiassi matematica per poi lavorare nella Silicon Valley. Era la sua fissazione, ma a Los Angeles intorno a me tutti si occupavano di cinema e alla fine anche io mi ci sono avvicinato. Ho preso dei rischi, ho lasciato l'università e mi sono iscritto a una scuola di recitazione. A quel punto i miei hanno deciso di non supportarmi più economicamente, allora ho lavorato per un po' a McDonalds finché non sono stato preso per girare degli spot di Pizza Hut. Per otto anni mi sono concentrato solo sulla recitazione dedicando il tempo libero alla scrittura, allo studio, ma solo segretamente. In pubblico ero solo un attore, ma dentro di me sentivo che avrei potuto fare molto di più. Amo la recitazione, ma voglio fare anche altro.

Le tue altre passioni non sono poi così segrete visto che ormai i tuoi progetti artistici sono noti.
Si, ormai è tutto pubblico. Da quando sono tornato all'università tutti sanno cosa faccio. Uno dei progetti a cui tengo di più, Rebel, è ispirato a Gioventù bruciata. Qualche anno fa ho interpretato James Dean in un biopic televisivo piuttosto tradizionale incentrato sulla sua carriera e sulla sua vita personale. Dieci anni dopo ero sempre interessato al film e a James, ma volevo anche far capire quale sia il posto di quell'opera nella storia del cinema e cosa abbia significato per me. Douglas Gordon e Paul McCarthy mi hanno aiutato insegnandomi che i film rappresentano una parte fondante della nostra vita. Per questo ho utilizzato il film come materiale grezzo per trovare nuovi significati, attuali nel presente, seguendo l'esempio di ciò che Gordon aveva fatto con Psycho in 24 Hours Psycho.

A quel punto le tue collaborazioni si sono ampliate.
Esatto. I registi sono incapsulati nel business cinematografico perciò mi sono rivolto ad artisti e videomaker per trarre nuova linfa vitale dalle loro opere e creare un ponte tra due mondi. Il film è stato frammentato e decomposto dando vita a un oggetto multidimensionale scisso in immagine, musica, pittura e scrittura. Ogni artista si è occupato di un ambito. Inoltre abbiamo immerso il film in un ambiente particolare portandolo fuori dallo schermo cinematografico. Perciò mi sono recato allo Chateau Marmont, dove Nicholas Ray alloggiava durante le riprese, per dare forma liquida al lungometraggio immergendolo in un'atmosfera completamente diversa.

Quali sono gli obiettivi della tua sperimentazione artistica?
Oggi nel cinema c'è una grande enfasi sulla narrazione, soprattutto nelle pellicole commerciali. Io ho preferito collaborare con artisti che partono da opere mainstream, ma talvolta superano il confine avvicinandosi a forme d'arte. Ci sono autori come Steve McQueen e Julian Schnabel che, dal mondo dell'arte, si sono avvicinati al cinema narrativo. Io faccio il contrario. I miei progetti oggi usano i media visivi come il cinema e la narrazione per immagini per poi esasperarli, spingendoli in direzione dell'astrazione. Voglio esplorare differenti forme di costruzione del video, non voglio restare imprigionato nelle regole del cinema narrativo e dei generi.

Sappiamo che hai partecipato da spettatore alla celebre perfomance di Marina Abramovic The Artist Is Present. Cosa ci racconti al riguardo?
Marina è una mia amica e voleva che partecipassi all'esperienza. E' stato molto interessante. Prima di tutto è stato un show che, a New York, ha galvanizzato le persone. Ogni giorno era come assistere a una premiere, era come andare a vedere una sorta di leader spirituale. Marina stava seduta su una sedia e di fronte a lei c'era un'altra sedia. Ognuno poteva stare seduto a fissarla per tutto il tempo che voleva mentre gli altri attendevano in fila. E' una doppia performance perché il pubblico guarda la performer e anche lo spettatore seduto. Inoltre il tutto veniva ripreso e inviato in diretta streaming sul web. E ' una sorta di meditazione. Io conosco bene le tecniche di yoga e meditazione perché le ho apprese da mio padre, ma la meditazione è un'esperienza profondamente privata. Stavolta era tutto pubblico. Sono abituato a essere sotto i riflettori, ma mentre tutti mi fissavano ho pensato: "Oh no, mi stanno guadando perché vogliono la sedia". In seguito Marina mi ha confessato di aver visto tanto dolore in quelle persone sedute di fronte a lei perché gli spettatori erano stati in grado di esprimere i loro sentimenti.

Quale è la differenza più evidente tra mondo dell'arte e quella del cinema?
Il contesto è molto diverso e anche il modo in cui le persone si relazionano con l'opera. Il pubblico interagisce in modo differente con un film o con un'opera d'arte. I registi fanno film per vendere biglietti cinematografici o DVD. Gli artisti invece producono un numero limitato di oggetti perciò sono liberi dal pensiero del denaro a ogni costo. L'idea alla base della loro arte è più intensa e non vivono la stessa pressione, ma c'è comunque una fusione, una compenetrazione tra questi due ambiti.

Quale è la differenza principale tra il mondo del cinema e quello dell'arte?
Per molti anni il cinema è stata l'arte principe. Oggi il pubblico si concentra su media più popolari, mentre l'arte, la poesia e la letteratura hanno un'audience più ridotta, di nicchia. Da una parte mi piacerebbe che il pubblico fruisse dell'arte in numero superiore, ma capisco che non sempre può essere popolare. Anche l'arte, come il cinema, è un business, ma funziona in un modo completamente differente. Forse gli artisti possono permettersi di essere così folli perché appartengono a un contesto diverso.

Il tuo bagaglio di conoscenze nel settore delle arti visive influenza anche il tuo modo di calarti in un personaggio nuovo?
Prima di tutto devo credere nel progetto, devo fidarmi del regista e devo sentirmi libero.Una volta che ho accettato entro nel processo di preparazione. Quando ero più giovane facevo ricerche personali, ma questo non sempre è il modo giusto di procedere perché è necessario seguire le direttive e la linea di pensiero del regista. Faccio ancora ricerca personale, leggo libri, mi documento, ma poi mi concentro nel capire come il personaggio sia incastonato nella storia che il regista vuole raccontare. Qualche tempo fa ho recitato in Milk, un gran film di Gus Van Sant. Io interpretavo l'amante di Milk, Scott Smith, che è una persona reale, perciò mi sono recato a visitare i luoghi in cui viveva, in cui lavorava e ho parlato con i suoi amici. Ma il film si intitola Milk, non Smith. Non ero io il protagonista, il mio ruolo era quello di mostrare come Milk riuscisse a bilanciare la carriera politica e la vita privata perciò ho interpretato la parte pensando al vero senso della mia presenza. Questo è il processo che applico a ogni nuovo lavoro, voglio essere sicuro che il mio contributo sia in linea con la direzione da prendere.