Recensione Polvere (2007)

A proporre un prodotto diverso dal solito, che risente comunque delle influenze delle menti più cool che furoreggiano all'estero, ci provano Massimiliano D'Epiro e Danilo Proietti che fondono e strapazzano realtà e finzione per fare il punto su una società ormai governata dalla cocaina.

Italia, terra di cocainomani

Raramente il cinema italiano, anche quello più giovane, tenta strade diverse in materia di linguaggio filmico. Costretti anche da una certa cultura votata all'autorialità a costruire film nelle ormai classiche 'due stanze con cucina', i nostri autori hanno spesso messo da parte le istanze sperimentali per concentrarsi su emozioni e sentimenti di carta. A proporre un prodotto diverso dal solito, che risente comunque delle influenze delle menti più cool che furoreggiano all'estero, ci provano Massimiliano D'Epiro e Danilo Proietti che fondono e strapazzano realtà e finzione per fare il punto su una società, come quella italiana, ormai governata dalla cocaina. Nel loro Polvere, infatti, la droga più democratica del nuovo millennio, che abbatte ogni barriera d'età e ceto sociale, sembra riempire le narici di chiunque, senza alcuna esclusione, dalle donne incinta ai venditori d'angurie, ben al di là quindi del tempio della discoteca.

L'intenzione dei due registi è quella di sensibilizzare gli spettatori su un problema ampiamente diffuso, ma che sembra non essere tenuto in grande considerazione dall'opinione pubblica e da chi la manovra. Per farlo non esitano a mettere in scena la tribù di esaltati corrotta dal miraggio della droga e quella lotta di interessi tra clan che si spartiscono il territorio: nella Roma di Polvere il giro di droga è controllato da più mani, dagli italiani con una smorfia sempre in viso alla mafia cinese, fino ai marocchini. Dentro la sostanza di questa sorta di mockumentary dai tempi forsennati ci finisce un po' tutto, dall'esaltazione effimera della cocaina (è essa stessa a fare da voce narrante in pieno stile deejay) al suo biasimo attraverso il rincorrersi di eventi tragici che si concludono puntualmente in un finale apocalittico. Tante inoltre le interviste, messe insieme in un colorato collage dal ritmo fin troppo spedito, che propongono dichiarazioni fittizie accanto a voci reali dal limbo della cocaina. Sul pericolo di autogol, con una probabile celebrazione della cocaina piuttosto che una demolizione sul suo mito, sono comunque destinate a cadere amare lacrime e fiumi di sangue deputati a dissipare ogni dubbio.

Dando anche spazio a una nuova generazione di attori, da Primo Reggiani a Michele Alhaique fino alle belle e impossibili Victoria Larchenko e Gaia Bermani Amaral, Polvere conferma la sua natura di opera giovane diretta ai giovani, che sebbene scivoli fiera in un'estetica da videoclip, riesce comunque a colpire per l'accuratezza tecnica in fase di regia, montaggio e fotografia che costruiscono un viaggio allucinato lungo un intero giorno. Il film ha tutti i difetti di un'opera prima assemblata da due veri cinefili, che appendono sulla parete della camera del protagonista-regista il poster di Santo Kubrick, non facendo così mistero delle loro ambizioni e degli ami un po' furbetti che lanciano al pubblico. L'abbondanza di stimoli visivi, frammentata da un montaggio frenetico che graffia l'occhio, con una colonna sonora che non lascia scampo, oscura parzialmente il significato e il messaggio di un'opera che si pone contro la droga, ma lo sa dire soltanto in un finale esagerato e disperato, dopo una seconda parte francamente lenta e piuttosto noiosa. Il film si lascia così apprezzare soprattutto sul versante tecnico, e sebbene le buone intenzioni sul messaggio da far passare trovino qualche difficoltà di troppo ad esprimersi, i due autori ci sembrano comunque una buona risorsa da coltivare.