Recensione Tutta la vita davanti (2008)

Virzì gestisce con grande saggezza il materiale a sua disposizione, si ritrova a parlare di televisione sottraendosi però ad un'inutile critica, utilizzando invece i prodotti di maggior successo di questa per spiegare con ironia come siamo diventati.

Italia indietro tutta

Che brutto paese è diventato l'Italia, enorme discarica di donne di plastica e lavoretti meschini e alienanti, forum di chiacchiere da post reality, teatro dell'assurdo di relazioni senza futuro, probabilmente già nulle nel presente. Tutti a uniformarsi alla mediocrità, il talento viene mortificato dalla mancanza di proposte degne ed esiliato altrove, l'unico merito ad essere premiato è quello che fa procedere al meglio l'enorme fregatura dei nostri tempi, che ci convince che stupido è bello, che accontentarsi è la nuova frontiera e che servire il padrone con entusiasmo e tenacia, ammirandolo e adorandolo con la testa sotto la sabbia finché morte o licenziamento non ci separi, è l'unica possibilità di nobilitarsi. Ha un occhio attento Paolo Virzì che, insieme all'altro sceneggiatore Francesco Bruni, prova a descrivere il nostro paese (mai così piccolo e misero) entrando nel disperato mondo del lavoro precario, della donna che si è siliconata pure la parità dei sessi, dei giovani addestrati ad essere idioti, ad annullare la propria personalità. E Tutta la vita davanti non può essere commedia, anche quando prova ad infilarci dentro qualche parolaccia superflua, perché trasuda ferocia e tristezza da ogni sua immagine, sussurrando come carnefici subalterni e vittime sacrificali abbiano in realtà in comune la stessa deprimente vita di stenti, chi in ambito economico, chi nelle relazioni umane.

L'incipit surreale del film, con una Roma ballerina a salutare con pallido entusiasmo il nuovo giorno, introduce lo spettatore e la protagonista nell'universo perverso del lavoro, dove si chiede di essere entusiasti e vincenti anche nel nulla, prima che quel viziaccio brutto di Virzì, la voce fuori campo, ci racconti vita, doti e trionfi universitari della ragazza col cervello ancora immacolato, destinata ad una brillante carriera da telefonista. Il suo volto è quello della quasi esordiente Isabella Ragonese, deliziosa e bravissima giovane attrice da coccolare, che si cala a perfezione nel ruolo di una neo-laureata in filosofia, con tanto di abbraccio accademico, costretta ad un lavoro precario, presso il call center di una società imbrogliona, che si guarda attorno e prova a non farsi fregare. Il suo approccio a questo bizzarro mondo, che cerca di mascherare con canzoncine e balletti del buongiorno lo squallore dei raggiri da perpetrare durante la giornata, ai danni di utenti telefonici che si illudono della buona fede della voce di turno, è ricco di curiosità senza boria, è il nostro sguardo in situazioni e ambienti dalle quali vorremmo sinceramente stare alla larga. Ma il film di Virzì va oltre, tocca temi critici della nostra società fondata sulla "mancanza" (di soldi, lavoro, amore, amicizie sincere e quant'altro) arrischiandosi addirittura in territori scomodi come il suicidio, la prostituzione on line e il fascino inoffensivo della canna, e riesce a graffiare, senza mai essere superficiale.

Punto di vista privilegiato del film è quello della donna. Non solo lo sguardo senza presunzione della sua protagonista, splendido folletto che cerca di tenersi a galla nelle sabbie mobili dell'oggi, ma anche quello di una madre col cervello nascosto sotto il cappello che si ritrova costretta a fare soldi vendendo il proprio corpo per mantenere la figlia, e quello di una donna apparentemente di successo, con un viso che è un'ode al chirurgo plastico, e che passa la giornata a motivare le sue ragazze ad accumulare più truffe possibili, fingendosi amiche degli sconosciuti, sottolineando le difficoltà dei giovani come trappola per gli anziani ancora sensibili ai problemi delle nuove generazioni. Ne esce fuori un ritratto riuscito, spietato e deprimente, di un'umanità che non ha più modo di ribellarsi allo scorrere del tempo e che deve adeguarsi al fallimento deciso per loro dai piani alti. Virzì gestisce con grande saggezza il materiale a sua disposizione, si ritrova a parlare di televisione sottraendosi però ad un'inutile critica, utilizzando invece i prodotti di maggior successo di questa per spiegare con ironia come siamo diventati. E cercando un difficile equilibrio tra i toni, il regista toscano si concede il lusso di episodi scanzonati che conducono sempre nei territori dell'orrore, passando per il noir, per l'impegno civile, per le sfumature sociologiche, impacchettate nell'etichetta un po' forzata di commedia all'italiana. Film intelligente senza essere spocchioso, a tratti addirittura coraggioso, ma che sbanda di tanto in tanto in eccessi e situazioni caricate ad arte per colpire nel segno, Tutta la vita davanti si lascia guardare con piacere per la sua intera durata (ben due ore) e riconferma la grande capacità di Virzì di dirigere i suoi attori, tutti bravissimi, Ferilli compresa.