Recensione Yes Man (2008)

Il fenomenale Jim Carrey sfodera in Yes Man una prestazione da urlo, arricchendo il personaggio potenzialmente esile di Carl Allen con tutte le armi migliori del suo repertorio.

Io penso positivo

Un sì al momento giusto può voler dire molto, troppi possono creare più confusione di prima. Questo potrebbe essere il sunto, qualora volessimo ricavare una sorta di messaggio zen da una commedia quanto mai movimentata, che ruota attorno al concetto di ottimismo facendolo scendere in picchiata e subito dopo impennare con lo stesso spirito delle montagne russe. Alla conclusione del giro la portata del messaggio rischierebbe di essere inferiore alle aspettative, se l'acrobata impegnato a disimpegnarsi tra tanti imprevisti e emozioni non fosse Jim Carrey. In bilico tra fasi depressive dagli esiti tragicomici e scelte dettate dall'entusiasmo, il fenomenale attore americano sfodera in Yes Man una prestazione da urlo, arricchendo il personaggio potenzialmente esile di Carl Allen con tutte le armi migliori del suo repertorio: espressioni facciali così elastiche da far sembrare il volto di gomma, movimenti del corpo agili e al contempo buffi, sorrisi talmente stralunati da far concorrenza allo Stregatto di Alice in Wonderland, tormentoni verbali recitati con tempistica eccellente.

Ma chi è Jim Carrey nel film diretto con fresca e tutto sommato inedita inventiva da Peyton Reed, specialista in commedie leggere autore in passato dei non irresistibili Il ritorno del maggiolino tutto matto (1997) e Ti odio, ti lascio, ti... (2006)? In Yes Man il camaleontico Carrey dà vita a un personaggio fondamentalmente tenero, Carl, che all'inizio viene ritratto come l'emblema della negatività: ogni scusa è buona per dire no agli amici e ai loro inviti, la vita sentimentale va a rotoli, il lavoro arranca. Un disincanto a dir poco totale condiziona ogni sua decisione. Tutto questo è destinato a cambiare, non appena Carl verrà condotto da un suo conoscente alla presenza di Terrence Bundley, il cui esibito accento inglese è sinonimo di successo presso una delle tante sette che predicano l'auto-miglioramento e la necessità di rispondere sempre sì alle proposte della vita. Il povero Carl, sconvolto dal faccia a faccia col guru, si convince di dover dire sempre sì a tutto e a tutti. Incredibilmente, questo suo prendere il messaggio alla lettera lo trascina in una serie di conquiste sbalorditive e prima impensabili, facendogli trovare nuovi amici, migliorando il suo rapporto con quel buontempone del capo-ufficio, ma soprattutto servendogli su un piatto d'argento un nuovo amore: la graziosa e lunatica Allison, tipetto tutto pepe in cui Zooey Deschanel riversa anche il proprio amore per la musica, ben rappresentato da indescrivibili esibizioni live dove un repertorio stile new wave anni '80 catalizza in modo improprio testi deliranti e costumi sopra le righe.
Tra corsi di coreano, improvvisa passione per il volontariato, lezioni di volo e stranezze assortite, la nuova vita di Carl e il rapporto con Allison sembrerebbero sostenersi a vicenda, ma gli imprevisti, si sa, sono dietro l'angolo. E il nostro Carl imparerà presto che dire sempre di sì, senza prendersi una pausa per riflettere, può avere serie controindicazioni. Come levarsi a quel punto dagli impicci?

La commedia di Peyton Reed appassiona e diverte anche grazie alla varietà delle situazioni che propone, concedendosi scampoli di picaresca spettacolarità allorché i protagonisti si cimentano in qualche sport estremo, ultima tentazione di menti poco portate alla stabilità. La natura demenziale di certi sketch e la vena surreale di Carrey si accaniscono poi sul linguaggio, col tormentone della Red Bull che passerà agli annali, ma la clownerie di fondo non impedisce che si accavallino scenette romantiche, o semplicemente più riflessive, tanto per dare spessore ai personaggi. E lì non si potrà certo parlare di spessore, però quei momenti in cui il capo-ufficio di Carl organizza bizzarre serate di cosplay, intitolate a Harry Potter o a 300, dal punto di vista delle intenzioni parodiche funzionano eccome, complice la galleria di nerds ivi chiamati a raccolta; ed è questa una ulteriore dimostrazione di quanto le operazioni di casting siano andate, generalmente, a buon fine. Se finora non siamo stati avari di elogi per lo strepitoso Jim Carrey e per Zooey Deschanel, vi è un altro nome da evidenziare col circoletto rosso: Terence Stamp. Lo stagionato interprete britannico, attingendo alla classe di sempre, è riuscito in pochi ciak a caratterizzare energicamente il responsabile della setta, dalle cui arringhe si scatena un duetto davvero irresistibile con Jim Carrey. Tornando alla metafora delle montagne russe, la raffigurazione dei raduni cui presenziano l'invasato predicatore e i suoi discepoli condensa, a nostro avviso, i picchi più alti e quelli più bassi di Yes Man: da un lato il livello di comicità tocca punte ragguardevoli; a tratti, tuttavia, si fa strada l'impressione che vi sia troppa accondiscendenza, nel rapportarsi a movimenti la cui tendenza a plagiare menti deboli poteva essere oggetto di una satira meno blanda. Unico neo, questo, di una commedia non priva di anima che fa ridere di gusto dall'inizio alla fine.