Intervistando Amenábar

Prima dell'uscita di Mar Adentro, il suo film più amato dalla critica, appena premiato con il premio Oscar per il miglior film straniero, abbiamo fatto una lunga chiacchierata con Alejandro Amenábar. Eccola a voi.

Abbiamo cercato il giovane ma già affermato regista spagnolo Alejandro Amenábar per le strade calde di Madrid, chiedendo ai passanti se sapessero indicarci un nome, un indirizzo che ci aiutasse a coprire i sei gradi di separazione tra noi e lui... Incredibilmente il gioco ha funzionato ed in un bar del centro di Madrid, quasi sospeso nel tempo, abbiamo incontrato ed intervistato il prodigio del cinema spagnolo, un trentenne affabile e cortese che, per più di un'ora, si è intrattenuto con noi: lui sorseggiando il suo caffè e noi... cerveza y mojito.

A proposito di Apri gli occhi:

Lo spettatore segue la pellicola - come sempre accade nei tuoi film - dal punto di vista del protagonista, Cesar, e tutto è continuamente un crescendo di sorprese finchè tu stesso non decidi di svelare che gran parte della vicenda è un sogno: operi questa scelta per mantenere allo stesso grado il punto di vista personaggio/spettatore, o c'è anche il preciso intento di confondere lo spettatore? Alejandro Amenábar: Fondamentalmente voglio trovarmi al centro del punto di vista del protagonista, ma, visto che il personaggio è chiamato a vedersi immerso in un incubo, anche lo spettatore si trova incluso nell'incubo. Questo, unito al fatto che la distinzione tra realtà e sogno sia praticamente inesistente, rende il film confuso, ad una prima visione, alla maggior parte degli spettatori: tutto sommato, però, io non credo che il film sia criptico ma abbastanza trasparente.

C'è una finalità elitaria nel permettere solo ad un determinato gruppo di spettatori di continuare a godere del film e di comprenderne l'evolversi ed il senso, o questo succede in modo del tutto inconscio? Alejandro Amenábar: Non concepisco il cinema elitario. Ho sempre ritenuto che il cinema sia un fenomeno di massa, un mezzo per comunicare con il grande pubblico. Forse, sotto questo punto di vista, è possibile che Apri gli occhi non sia del tutto conforme al mio modo di concepire la comunicazione con lo spettatore. Cerco sempre di fare in modo che durante la visione dei miei film ci sia un numero determinato di spettatori che possano cogliere certi messaggi, ma a livello superficiale cerco sempre che lo spettatore medio, che si reca al cinema per rilassarsi, possa seguire il film senza restare estraneo a ciò che accade sullo schermo. Apri gli occhi era un film difficile, che mi procurava problemi per come sarebbe stato recepito dallo spettatore. Mateo Gil ed io, in fase di sceneggiatura, decidemmo di stabilire, per il film, un livello medio che potesse arrivare ad una larga fascia di pubblico, soprattutto giovane.

Perché nei tuoi film scegli sempre, alla fine, di sconvolgere i tuoi personaggi? Perché i tuoi personaggi nascondono sempre un'ambiguità di fondo? Alejandro Amenábar: Inconsciamente credo mi piaccia collocare il personaggio di fronte ad una serie di tribolazioni attraverso le quali egli giunge a scoprire qualcosa che, quasi sempre, è qualcosa di sé stesso: c'è un cambio di prospettiva, come accade in Apri gli occhi e in The Others dove, in entrambi i casi, i personaggi scoprono di non trovarsi dove credevano di essere.

Sempre a proposito di Apri gli occhi, è possibile affermare che il personaggio dello psicanalista sia come un alter ego del protagonista, la personificazione del suo subcosciente più profondo che egli stesso produce e personifica per arrivare alla verità? Inoltre, gli incontri tra Cesar e lo psicanalista si svolgono in una prigione: è possibile affermare che il carcere rappresenti il luogo più angusto della mente di Cesar, dove si nasconde, dunque, la sua coscienza? Alejandro Amenábar: Si, c'è molto di questo in quel personaggio. Uno dei maggiori dubbi che si presentarono durante la stesura della sceneggiatura riguardava proprio questo: quanto il sogno del protagonista dovesse essere creato dai tecnici della Life Extencion e quanto il sogno avrebbe dovuto essere condizionato dal subcosciente del protagonista? Abbiamo optato, poi, per un compromesso tra le due opzioni: i vari personaggi, come quello dello psicanalista, vengono introdotti da quelli che sono i signori del futuro, d'altra parte questi personaggi vengono alimentati da Cesar stesso. Nello psicanalista Cesar proietta anche la figura del padre che, come sappiamo, ha perso da bambino.

Cosa pensi di Vanilla Sky di Cameron Crowe, remake del tuo film?Cosa ti piace di più e cosa non ti piace affatto? Alejandro Amenábar: Mi piacciono molto alcune soluzioni che Crowe ha trovato per i dialoghi. A volte Crowe gira attorno ad un dialogo che mi sembrava già buono in Apri gli occhi rendendolo nuovo, ripensandolo, ad esempio, al rovescio: anticipa un dialogo, poi ne inserisce un altro... Mi piace soprattutto il fatto che Vanilla Sky non cerca di semplificare, a differenza di ciò che è stato detto in proposito, la complessità che in bene o in male possiede l'originale da cui parte: non è il tentativo di girare una versione più semplicista o all'americana di Apri gli occhi. Tutto ciò che possa avere di complesso il mio film è ben risolto in Vanilla Sky. È chiaro, però, che non è il film che avrei fatto io, perché infatti io l'ho girato diversamente! Vanilla Sky è stato realizzato in modo differente da Apri gli occhi e ciò fa sì che si tratti di un film di Cameron Crowe. Non mi sento riconosciuto, o meglio: sento che si tratta della stessa storia raccontata da un'altra voce, e questo mi sembra molto interessante.

Vanilla Sky è più un film di Cameron Crowe o di Tom Cruise?

Credo sia un film di Cameron Crowe con una forte influenza di Tom Cruise, come si può vedere anche in Jerry Maguire. Tom imprime molto della sua personalità ai film di cui è protagonista e Vanilla Sky era certamente un progetto che lo entusiasmava particolarmente, infatti fu lui stesso a coinvolgere Crowe nel progetto.

L'alienazione, la perdita d'identità, la ricerca della verità sembrano accomunare il Cesar di Apri gli occhi ed il Bill di Eyes Wide Shut, entrambi pedine di un gioco più grande di loro, schiacciati da entità anonime che detengono il potere e che loro possono conoscere solo "aprendo gli occhi"... Alejandro Amenábar: Qualche anno fa, quando si seppe che sarebbe stato girato un remake di Apri gli occhi, qualcuno mi chiese se fosse proprio Eyes Wide Shut... Non credo si tratti della stessa storia, credo però che Eyes Wide Shut, come molte delle opere di Kubrick, parli dell'alienazione e, volendo essere un racconto sognato, dà, dopo averlo visto, la sensazione di aver sognato tutto. Ad ogni modo il film di Kubrick conserva un certo cripticismo, credo non arrivi ad incastrare tutti i pezzi, forse per volontà dell'autore...

Rimaniamo ancora per un momento su Tom Cruise: abbiamo già notato come i personaggi di Apri gli occhi/Vanilla Sky e Eyes Wide Shut si somiglino... A renderli ancora più vicini c'è un elemento molto forte ed importante in entrambi i film: la maschera. Credi sia possibile ravvisare, nella volontà di Tom Cruise di interpretare questi personaggi mascherati, un intento, una vera scelta estetica? Alejandro Amenábar: Credo che Tom possieda un'energia ed un talento ideali per esprimere personaggi sull'orlo del baratro. Nel caso di Apri gli occhi, poi, ricordo che quando stavamo scrivendo la sceneggiatura, Gil ed io, notavamo come la storia sarebbe stata perfetta per Tom Cruise. Nel caso di Eyes Wide Shut credo che ciò che fu predominante nella scelta di Tom di interpretare il ruolo fu Stanley Kubrick stesso... il protagonista della mia sceneggiatura ha molto del personaggio trionfatore e trionfalista, bello e ricco, e questo per qualcuno come Tom Cruise è un veicolo espressivo perfetto. Il caso della maschera è probabilmente una coincidenza in più... credo che le scene che Tom ha ritenuto più interessante girare siano state quelle in cui era truccato, ma non mascherato... certo, anche il trucco è una maschera... Apri gli occhi è una storia molto adatta a Tom.

Apri gli occhi tratta temi sociali importanti: paura di sé stessi e degli altri, solitudine, emarginazione, rifugio in mondi artificiali, dubbi filosofici sulla felicità e su Dio... qualcuno, a proposito dei tuoi film, ha parlato di thriller sociologico... Alejandro Amenábar: Ogni volta che racconto una storia ho bisogno di sapere esattamente su cosa sto riflettendo o, se pretendo che sa metafora, chiarire di cosa lo sia. Non considero il mio cinema un cinema di denuncia, dunque le domande che si possono porre a sé stessi ed allo spettatore sono le domande esistenziali a cui tutti hanno cercato di dare una risposta: chi siamo? Dove andiamo? Quello che ho tentato di fare con Apri gli occhi è esprimere queste ossessioni attraverso la trama e ritengo che il thriller, così come raccontare tutto attraverso un incubo, fosse il genere ideale per farlo. Anche nel mio prossimo film, Mare dentro, le domande che permettono di far avanzare il racconto sono basiche e trascendenti: c'è Dio? C'è vita? Morte?...

Il protagonista di Apri gli occhi riflette tutta una generazione, ce è d'altronde la tua, dei giovani che hanno tutto e che però manca loro qualcosa. Anche vedere l'amore come un ideale, come lo è Sofia per Cesar, è un aspetto frequente nei giovani di oggi: ti sei chiesto perché? Alejandro Amenábar: La nostra generazione manca, a mio avviso, di una grande lotta sociale, qualcosa che l'abbia marcata come una guerra. Vedendo qual'è il panorama in questo momento, mi rendo conto che la ricerca dell'amore e della persona amata e l'evasione, attraverso soprattutto il mondo della doga, sono due costanti fondamentali di questa generazione.

Ma ritieni che l'amore sia un'illusione, come in Apri gli occhi? Alejandro Amenábar: Ciò che voglio affermare in Apri gli occhi è che noi stessi creiamo la persona amata e sempre noi, in qualche modo, decidiamo che cosa sarà della nostra storia d'amore o se vogliamo innamorarci. Costruiamo le nostre storie d'amore, le inventiamo nella nostra testa: nella maggior parte dei casi è così, altre volte, però, no ...altre volte conosciamo qualcuno che ci coinvolge, completamente. Sino ad oggi io sono stato abbastanza scettico e pratico con il concetto di amore, per questo credo che l'amore dipenda molto da come configuri te stesso nella tua testa e decidi se vivere una storia o no.

È il cinema la "Life Extencion" dell'umanità? Alejandro Amenábar: In questo momento si. Il cinema è ciò che più somiglia ad un sogno, al viaggio mentale che in molti immaginiamo quando vogliamo evadere. Verso dove andrà il cinema? Le sensazioni che è in grado di proporre sono ogni volta più reali, tanto da darci l'impressione di vivere in mondi paralleli. In alcune conferenze a cui ho partecipato alcuni anni fa si discuteva sulla possibilità che il cinema da noi conosciuto, evolvendosi, potesse essere inteso come la genesi di ciò che può trasformarsi in una vita parallela alla nostra.

Quanto influisce sul tuo cinema l'essere cresciuto tra due culture, quella latino-americana e quella spagnola-europea?Il clima incantato e soprannaturale dei temi trattati da alcuni dei tuoi film proviene maggiormente dal realismo magico di Garcìa Marquez e Isabelle Allende o dal surrealismo di Bunuel e Dalì? Alejandro Amenábar: Il cinema di Bunuel lo sto scoprendo solo ora... In quanto al realismo magico, invece, non posso dire d'aver ricevuto un'influenza molto forte da parte della Allende o di Marquez... credo, nel caso concreto di The Others, che si tratti di un opercorso all'indietro, verso ciò che mi ha influenzato quando ero bambino: l'educazione che ho ricevuto e le letture che mi hanno accompagnato nell'infanzia. Il progetto di The Others trasse origine da un viaggio che feci con mio fratello in Cile circa sette anni fa, dove rivivemmo le esperienze di quando eravamo stati per la prima volta nella nostra terra d'origine da bambini. I miei genitori si trasferirono in Spagna quando io avevo circa un anno e mezzo, quindi all'età di circa sei anni portarono me e mio fratello più grande, per un'estate, in Cile per conoscere i nostri cugini, i nonni, le zie. L'esperienza ci segnò molto: i legami, le relazioni così strette tra i membri della famiglia... mia madre ed io non volevamo più tornare in Spagna, volevamo restare in Cile dove fummo a lungo in una casa molto antica, dove assistemmo ad una seduta spiritica. Credo che tutto questo fu il germe di una novella, che scrissi a 18 anni e che, a sua volta, fu il germe per la sceneggiatura di The Others.

Ritieni sia peggiore la violenza che appare negli audiovisivi o quella che quest'ultima, filmata, provoca nella psicologia degli spettatori? Alejandro Amenábar: Francamente non lo so. Quella che però mi sembra più interessante è quella che si può provocare in chi guarda un audiovisivo. Io sarei incapace di vedere delle immagini come quelle sottoposte ai protagonisti di Tesis, infatti non mi sono voluto addentrare in maniera diretta, ho trattato la cosa più come metafora che come indagine sul tema. Nel momento in cui si scegli di fare un film sulla violenza filmata credo che il modo più interessante di operare non sia quello di mostrare ma bensì quello di occultare, per rendere lo spettatore cosciente della forza che delle immagini hanno sui personaggi e parlare esclusivamente di questo: della forza e dell'impatto che le immagini producono.

Lo snuff-movie è una metafora della violenza, spesso solo verbale, che appare in alcuni programmi televisivi? Alejandro Amenábar: Si può affermare che in Tesis gli snuff-movie siano quello che Hitchcock chiamerebbe mcguffin... un pretesto per criticare, denunciare e riflettere sul contenuto e sul trattamento che alcuni programmi televisivi operano sulla violenza. Affrontare questo tema in un'atmosfera televisiva avrebbe reso il trattamento del tema in una forma troppo ovvia. Esistono molti film in cui si denuncia la televisione, anche fatti molto bene, ma ritengo che sia troppo ovvio criticare qualcosa che è assolutamente criticabile: non è necessario denunciare ciò che tutti i giorni vedo in tv perché già sappiamo che si tratta di spazzatura. Caricare il film di questo elemento mi sarebbe sembrato piuttosto facile e per questo ho preferito provocare la riflessione, guardare da vicino l'impatto della violenza sullo spettatore. Ciò che è assolutamente criticabile e condannabile è la drammatizzazione della violenza attraverso un mezzo informativo, ciò che io chiamo lo snuff-sentimentale...

Sin dalle prime immagini Tesi mostra il suo intento voyeristico attraverso il personaggio di Angela, continuamente sedotta dal proibito, dal pericoloso e dal morboso. Ti senti anche tu attratto da questi elementi? Alejandro Amenábar: No, credo di no. Intrigato sì, forse, però io sono molto codardo: quando qualche anno fa il mio gatto cadde dal quarto piano, non ebbi neppure il coraggio di affacciarmi... per questo non posso identificarmi con Angela che, sotto la metropolitana, scena che effettivamente ho vissuto, si volta per guardare il corpo dell'uomo che si è suicidato: questo fu ciò che mi sorprese, che un'immagine fosse in grado di mettermi in condizione di coprirmi gli occhi con la giacca per non rischiare di vedere qualcosa...

Nella scena in cui Angela bacia lo schermo televisivo con l'immagine dell'assassino, Bosco, si mette in evidenza sia l'amore verso i miti ed i culti generati dagli audiovisivi, sia l'amore verso il male... Alejandro Amenábar: Se c'è qualcosa che mi porta a seguire una traiettoria, è provare a mostrare un luogo figurato dove non ci sono né buoni né cattivi, bianco o nero... questo aspetto mi attrae ed attira la mia riflessione: cos'è buono?cos'è cattivo? Angela attratta da un lato oscuro, qualcosa che è sempre presente nei miei film. Sento che finalmente nel mio prossimo film (Mare dentro) non ci sono personaggi cattivi: tutti cercano di capire gli altri personaggi e questo potrebbe sembrare manicheo...ma questi personaggi non sono stati pensati per nessun conflitto.

Qualcuno ha detto che in Apri gli occhi ci sono personaggi cattivi, in parti colare il protagonista. Noi non siamo d'accordo... Alejandro Amenábar: Infatti non è così. Apri gli occhi è un film non su personaggi cattivi, ma sulle cose cattive che i personaggi compiono. In Tesis, al contrario, Bosco è un personaggio veramente crudele.

Tesis riflette molto sul cinema, tanto da poter essere considerato un film metacinematografico. Quando il professor Castro parla, ai suoi studenti, del cinema come industria usi un personaggio ambiguo per esprimere un'idea che condividi o che non condividi? Alejandro Amenábar: In gran parte condivido il concetto di cinema come industria, ma non a pieno. Condivido l'idea che il cinema sia intrattenimento... come dicevo prima, poiché oggi giorno costa molto e la distribuzione è un campo difficile, il cinema è un mezzo che deve cercare di avvicinarsi ad un gran numero di pubblico. Non credo, però, che questo discorso si possa estendere a tutto il cinema: spero che un giorno non dovrò ritrattare queste parole, ma sino ad ora la traiettoria dei miei film è marcata dall'aver cercato di prendere dal cinema hollywoodiano elementi di intrattenimento che mi apparissero onesti, rinunciando a progetti che, al contrario, non mi sembrassero comunicare onestamente con lo spettatore.

Il vero protagonista di Tesis sembra essere l'occhio oggettivo, registratore e voyeur della videocamera poiché la sua presenza conferisce una funzione metalinguistica al film. Perché questo tema era così importante per te quando hai iniziato? Alejandro Amenábar: Sin da quando ho iniziato a girare cortometraggi mi sono occupato della realtà vista da una videocamera: è come se l'immagine ripresa fosse ancora più reale della realtà, questo aspetto mi ha sempre interessato ed inoltre lo trovo molto espressivo.

Che importanza attribuisci alla scena in cui Chema ed Angela attraversano il tunnel sotterraneo della facoltà? Alejandro Amenábar: Oltre ad essere una scena utile dal punto di vista narrativo, per mostrare ciò che Chema prova per Angela, mi interessava approfondire il tema della luce come elemento fondamentale. Credo che la luce, assieme alla morte, sia un tema ricorrente nei miei film, molto importante anche a livello espressivo ...la luce che finisce poco a poco... un racconto che mi piacque molto e che mi fece piangere tanto da piccolo fu proprio La piccola fiammiferaia di Andersen, in cui la protagonista finisce lentamente tutti i fiammiferi e muore di freddo...

Nell'epilogo di Tesis, l'assassino è regista dell'omicidio e del film che si appresta a realizzare sull'omicidio stesso: la vittima è l'attrice, a cui il regista spiega cosa sta per accadere e le da anche dei consigli... tutto ciò può esser interpretato come una metafora della relazione tra regista ed attore? Alejandro Amenábar: È una riflessione interessante, ma io non vedo in questo modo il rapporto tra regista ed attore... non mi piacciono le situazioni limite e tendo a diventare molto nervoso quando i miei attori devono interpretare scene delicate o difficili...

Perché tutti i tuoi film iniziano con una voce off? Alejandro Amenábar: Si, anche Mare dentro... è per via dell'importanza che attribuisco al nero iniziale, un modo per attirare l'attenzione dello spettatore su ciò che si appresta a vedere, prima chiudendogli gli occhi, poi sussurrandogli alle orecchie e poi lasciando , infine, che riapra gli occhi.

Quali erano le tue paure da bambino? Alejandro Amenábar: Tutto ciò che aveva a che fare con l'oscurità, con lo star solo mi incuteva paura... dovevo andare al bagno accompagnato da mio fratello... solo a partire dai dodici anni, quando dormii per la prima volta da solo in una stanza del collegio, dove un sacerdote mi propose di dormire con lui nella stanza ed io decisi di no, fu allora che cominciai a non avere più paura.

In The Others, la luce della candela che illumina lo spazio dove si muovono i bambini rappresenta, in qualche modo, la mancanza di verità? La luce sembra muoversi nella casa in simbiosi con la verità: quando c'è verità c'è luce e viceversa... Alejandro Amenábar: Il viaggio che i personaggi intraprendono nel tratto della loro storia che io racconto è qualcosa su cui insisto molto al momento di scrivere la sceneggiatura... in molti sensi un film deve essere un viaggio. Nel caso di The Others, effettivamente, i protagonisti compiono un viaggio proprio dalle tenebre verso la luce della verità.

In che relazione sono i personaggi in The Others? Alejandro Amenábar: Si tratta di un film chiaramente femminile e, in questo senso, ha dunque molto dei melodrammi nordamericani degli anni '50. inoltre credo che le donne siano molto abili e giochino molto quando devono creare conflitti psicologici tra i personaggi che interpretano. È un film di donne, tutto il triangolo è chiaramente composto da Grace, sua figlia Anne e dalla figura della governante, la signora Milles. Gli uomini sono forse solo pedine... stanno appartati e di fatto non hanno mai alcuna iniziativa nella storia, solo il piccolo Nichols alla fine sembra prendere un po' di coraggio quando decide di seguire sua sorella. Credo che Anne sia molto simile a come fu un tempo Grace. Quest'ultima possiede molto, come eroina di crattere, del personaggio di Rossella O'Hara e credo che, proprio per questo, Nicole Kidman fosse ideale per il ruolo. L'idea è proprio che Grace sia stata molto più viva, loquace, e che, col tempo, le circostanze l'abbiano portata a ridursi allo stato di suora repressa.

La vita che continua dopo la morte è il tema principale del tuo cinema. In Apri gli occhio e The Others i personaggi non sono coscienti della loro morte. Perché questo aspetto ti seduce tanto? Alejandro Amenábar: Considerando che non posso rispondermi alla domanda da dove vengo?, cerco almeno di dare risposta alla domanda dove vado?...ciò che sappiamo tutti è che moriremo. Non so dire diversamente perché questo sia il tema predominante di tutti i miei film, so che è ciò che per me dà un senso a tutto.

The Others fa riflettere molto sulla morte e sulla vita dopo di essa. Credi che anche l'amore tra due persone possa continuare dopo la morte come accade anche in Apri gli occhi? Alejandro Amenábar: Non lo so...questa domanda si pone anche nel mio prossimo film (Mare dentro), ma non credo sia possibile dare una risposta.

In relazione all'intero cinema spagnolo odierno, c'è qualcosa che vuoi comunicare con il tuo cinema? Alejandro Amenábar: La nostra generazione di registi non è particolarmente unita, connessa, non c'è molta comunicazione tra tutti noi. Ognuno fa per sé. A me personalmente spaventano un po' i danni collaterali a cui una comunicazione maggiore potrebbe condurci: mi spaventerebbe veder sorgere una tendenza accentuata verso il thriller nel cinema spagnolo, non credo che il cinema dovrebbe essere questione di mode o di tendenze, come spesso accade negli Stati Uniti. Il bello del cinema europeo e del cinema indipendente è che è libero e deve essere aperto ad ogni tipo di universo e a qualsiasi idea originale. Non mi piacerebbe pensare che sto contribuendo alla nascita della produzione di un determinato filone cinematografico, anche perché io personalmente non mi sento legato ad un genere in particolare, nonostante i miei primi film si siano mossi tutti nell'ambito della suspance.

Cosa puoi dirci di Mare dentro, tuo prossimo film? Alejandro Amenábar: È una storia sulla morte, una storia di domande e ben poche risposte, in cui l'avvicinarsi a qualcuno cerca di renderlo più umano possibile. È una riflessione sul divino rivendicando l'umano.

C'è una domanda con cui un giornalista italiano conclude sempre le sue interviste: ci sembra carino potertela porre... Cosa si domanda Alejandro Amenàbar e cosa si risponde? Alejandro Amenábar: Ah! Io mi domando ed io mi rispondo! ...cosa mi domando? ...cosa mi domando e cosa mi rispondo... forse mi domando dove sarò tra dieci anni... e mi rispondo: "spero che sarò con i miei amici più cari e le persone che amo" ...spero! Questo sarebbe sufficiente a darmi serenità...

E noi te lo auguriamo. (Coautore: Fabio Gatto)