Intervista a Carlo De Ruggieri

Una chiacchierata con uno dei protagonisti del film d'esordio di Luca Vendruscolo, che ci parla del suo lavoro e della situazione attuale del cinema italiano.

Abbiamo incontrato Carlo De Ruggieri, uno dei protagonisti di Piovono mucche, film d'esordio di Luca Vendruscolo, nell'ambito della rassegna Sguardi di cinema italiano, che si sta svolgendo nella cittadina di Monopoli, in provincia di Bari, dal novembre del 2003.

Carlo De Ruggieri nasce a Roma nel 1971. Vive a Matera fino alla maturità e si trasferisce successivamente nella capitale per esigenze lavorative. Debutta nel 1988 ne Il sole anche di notte dei fratelli Taviani e prosegue la sua collaborazione nel 1992 con Fiorile. Partecipa a numerosi seminari teatrali negli anni '90 e contemporaneamente alterna la vita teatrale a quella di attore per il cinema, lavorando con Giacomo Ciarrapico, Eros Puglielli, Francesco Munzi e Massimo De Lorenzi. Nel film Piovono mucche interpreta la parte di un obiettore che decide di rimanere nella comunità.

Quali sono i motivi che hanno spinto il regista a creare questo film?

Credo soprattutto la necessità di raccontare un'esperienza che lo ha fortemente colpito. Il servizio civile è già di per sé un momento di crescita e di confronto con delle realtà che in molti casi ti sono assolutamente sconosciute. In secondo luogo la scoperta del mondo dei disabili, che andava raccontata per mostrare agli altri quanta ricchezza ci può essere in un rapporto umano così stretto ed intimo, così legato a necessità che assumono una veste completamente diversa se raffrontate alle difficoltà oggettive proprie di un handicappato. Inutile dire, infine, quanto possa essere intrisa di spunti ed aneddoti un'esperienza così intensa.

La cattiva distribuzione di alcuni film "poveri" come appunto Piovono mucche da cosa dipende?

Di primo acchito verrebbe spontaneo attribuire le colpe ai colossal americani, che imperversano contemporaneamente in migliaia di sale ed impediscono l'uscita di film che potrebbero comunque farsi apprezzare dal pubblico nazionale. In realtà, la situazione è un po' diversa. Sembra esserci una volontà ben precisa di occultamento di tutte le produzioni nazionali che non siano i soliti block buster natalizi e simili, anche se non si riesce a capire come mai i nostri produttori, a prodotto finito, non facciano niente per impedire l'annientamento di film sui quali hanno comunque investito del denaro di tasca loro. Personalmente ritengo che, per evitare che in futuro ciò continui ad accadere, si debba agire a livello politico, anche se il conflitto d'interessi arriva purtroppo fin nelle stanze dei bottoni.

Come vedi lo scenario del cinema italiano contemporaneo, così poco considerato dall'attuale critica cinematografica?

Credo che il cinema italiano degli ultimi anni ci stia dando parecchie soddisfazioni. Film come Respiro di Manuele Crialese e L'imbalsamatore di Matteo Garrone evidenziano tutta la creatività e la voglia di crescere dei registi italiani nonostante un contesto sociale non proprio esaltante. Inoltre, registi ormai affermati come ad esempio Salvatores hanno prodotto in questo periodo, a mio parere, i loro film più belli (Io non ho paura, candidato all'Oscar come miglior film straniero) dimostrando di non aver perso l'ispirazione, e grandi mostri sacri come Bellocchio e Bertolucci continuano a far discutere con produzioni assolutamente interessanti.

Attore di cinema, attore di teatro: quali sono le differenze principali per un attore impegnato in entrambi i campi?

Il mondo del cinema e quello del teatro sono mondi assolutamente differenti tra loro. Non per questo, però, è possibile ritenere, a priori, uno dei due migliore dell'altro. La loro diversità, per quanto riguarda la figura dell'attore, spazia su più fronti: dal rapporto diretto con il pubblico, che nel teatro può aiutarti a dare il meglio anche in circostanze sfavorevoli mentre nel cinema è un rapporto assolutamente virtuale, alla figura della cinepresa, che se indubbiamente ti dà la possibilità di tentare diversi approcci e di ripetere più volte la stessa scena, d'altro canto impone una concentrazione superiore, dovuta alla decontestualizzazione dell'ambiente cinematografico ed al suo ritmo più frenetico. Di conseguenza, essere un bravo attore teatrale non significa esserlo anche nel cinema e viceversa. Così come non è possibile definire una delle due discipline la più formativa a livello artistico.