Recensione Il quarto tipo (2009)

A tratti il film riesce nello scopo di spaventare a morte lo spettatore ma durante la visione non viene mai meno la scomoda sensazione di star assistendo a qualcosa di artificioso, terribilmente sconnesso e troppo contaminato.

Incontri troppo ravvicinati per essere veri

Negli ultimi anni ne abbiamo viste di tutti i colori: cinema di pura fiction, il documentario puro, la docu-fiction, il cinema di fiction ispirato a fatti realmente accaduti, ma anche e soprattutto il cinema di finzione (soprattutto horror) liberamente tratto da fatti inventati che si fanno passare per realmente accaduti. Il successo planetario di The Blair Witch Project ne è l'esempio più lampante, ma anche i recenti Rec e Paranormal Activity la sanno lunga in materia. Sulla stessa scia si pone questo nuovo esperimento cine-fantascientifico sulle forze extra-terrestri, Il Quarto Tipo, film a metà tra fiction e 'finta verità', basato sulla teoria che dietro la scomparsa di centinaia di migliaia di persone in tutto il mondo ci siano incontri ravvicinati del quarto tipo con esseri non umani, in altre parole rapimenti alieni, gli eventi più difficili da documentare.

Una teoria questa, che il regista Olatunde Osunsanmi sostiene essere documentata da sostanziosi materiali audio/video appartenenti alla dottoressa Abigail Tyler, con la cui storia è entrato in contatto 'casualmente' nel 2004 mentre si trovava in North Carolina per la post-produzione del suo film precedente, The Cavern. La psicologa, in precarie condizioni di salute, era originaria di Nome, una cittadina dell'Alaska non lontana da Anchorage che nell'ottobre del 2000 venne sconvolta da tragici eventi. Sparizioni, omicidi e gravi incidenti fisici avevano sconvolto le vite di molti dei suoi abitanti, compresa quella della dottoressa e la sua famiglia. Da uno studio approfondito sui disturbi del sonno riscontrati in molti dei suoi pazienti, il marito della dottoressa aveva scoperto un legame tra gli incubi e i malesseri lamentati dai suoi assistiti e la difficoltà di tutti loro nel ricordare alcuni momenti notturni, come se qualcuno li avesse cancellati dalla loro memoria. Da indagini approfondite della psicologa, nel passato di quella regione vennero fuori agghiaccianti coincidenze che coinvolgevano delitti, misteriose sparizioni, visite ripetute dell'FBI e fenomeni alquanto bizzarri nei cieli limpidi dell'Alaska.

Mettendo in scena gli 'accadimenti reali' desunti dal 'materiale d'archivio' della dottoressa Tyler, che mostrerebbero le prove più disturbanti mai documentate di rapimenti alieni, il regista americano di origini africane ci racconta in maniera poco omogenea attraverso la tecnica dello split screen, i nove giorni da incubo vissuti dalla psicologa (interpretata da una Milla Jovovich troppo bella per essere 'vera'), dalla sua famiglia e da tutti gli abitanti della piccola comunità di Nome.
Il film è quasi interamente basato sulle registrazioni delle sedute di ipnosi regressiva praticate dalla dottoressa Tyler nei primi di ottobre del 2000, dalle quali si evinse un contatto con esseri dalle sembianze non umane che proferivano messaggi apparentemente incomprensibili, che furono decifrati da uno studioso di lingue antiche, il quale riuscì a carpire agghiaccianti frasi in Sumero antico, il santo graal delle lingue morte, risalente ad un'epoca precedente a quella dei geroglifici egiziani.
Le potenzialità e le premesse per la realizzazione di un film interessante dal punto di vista visivo, estetico e di intrattenimento c'erano tutte. Peccato che le buone intenzioni dei realizzatori vengano meno sin dalla prima inquadratura, in cui a mo' di spot vediamo la protagonista Milla Jovovich stravolgere ogni regola e fare qualcosa che probabilmente non si era mai vista su un grande schermo: rivolgendosi direttamente agli spettatori in prima persona l'attrice spiega a chi guarda che, comunque la si pensi sugli extraterrestri, il film cui si sta per assistere mostrerà qualcosa di spaventoso ispirato a fatti realmente accaduti, documenti mai visti prima che il regista ha inserito a fianco del racconto in fiction in una narrazione parallela tra 'realtà' e 'finzione'. Della serie: se ve lo dico io potete crederci.
Il Quarto Tipo ricostruisce un fatto che si sostiene essere 'vero e documentato' cercando di spingere lo spettatore ad un livello di partecipazione e di immedesimazione elevatissimo. A tratti il film riesce nello scopo di spaventare a morte lo spettatore ma durante la visione non viene mai meno la scomoda sensazione di star assistendo a qualcosa di artificioso, terribilmente sconnesso e troppo contaminato. Manca la costante sensazione di pericolo, non c'è tensione emotiva, registriamo solo qualche sequenza inquietante durante le sedute di ipnosi, ma il tutto assomiglia più a una possessione demoniaca che a un contatto con una razza aliena dalla intenzioni non proprio pacifiche. Il retrogusto lasciato è quello di un qualcosa di artefatto che non assume mai un'identità ben delineata, il doppiaggio in italiano dei video 'veri' contribuisce ad amplificare la sensazione di una mistificazione e c'è anche da dire che l'operazione di marketing virale in Italia non ha tenuto di certo il passo con quella americana, che ha bombardato letteralmente il web con decine di filmati 'alieni' che hanno fatto crescere l'attesa per il film in sala in tutti gli Stati Uniti. Il finale deludente della storia è reso meno credibile da un ulteriore messaggio-spot della Jovovich e del regista Osunsanmi, che sceglie di sostenere e accompagnare la bella attrice nel disperato tentativo di dar forza alla flebile e futile ricerca di realismo messa in opera per tutta la durata del film.
Stupende le riprese aeree che sorvolano l'imponente natura dell'Alaska; ghiacciai, vallate innevate, foreste di un verde smeraldo meraviglioso fanno da sfondo ad una storia che sicuramente poggia su dei fondamenti di verità, su storie strane e accadimenti bizzarri, ma la cui messa in scena orrorifica lascia un po' a desiderare, nonostante le elevate potenzialità dell'argomento e della brillante idea di partenza.
La domanda non è se esistono gli Ufo, se gli alieni sono buoni o cattivi, o se la dottoressa Tyler è realmente esistita, o se le immagini in bianco e nero delle registrazioni 'vere' siano reali. La domanda è: perchè un vero psichiatra vivente dovrebbe concedere i suoi filmati personali alla produzione di un film horror? E se fosse veramente così, perchè in tal caso non c'è un ringraziamento nei titoli di coda alla dottoressa o al marito defunto?
Al pubblico l'ardua sentenza. Da parte nostra preferiamo senza dubbio gli alieni buoni e pacifici: con uno come E.T. due chiacchiere a quattr'occhi e senza agitarsi si sarebbero potute fare.

Movieplayer.it

3.0/5