Recensione La ballata di Stroszek (1977)

Con il solito e feroce taglio semi-documentaristico, Werner Herzog imprime alla triste storia del vagabondo Bruno risvolti parossistici che sfoceranno in un finale tra i più disperati della storia del cinema.

In viaggio verso il nulla

La macchina da presa immobile che, ad inizio film, riprende il cancello del carcere che si apre per poi richiudersi. Le vessazioni della vita tedesca e l'inutile illusione del sogno americano. Il reietto Bruno non vive di queste nette demarcazioni, perché Bruno è un corpo estraneo. Bruno è l'outsider per eccellenza. Perché essere semplici, innocenti e generosi sono macchie indelebili per il genere umano. Perché essere, in fin dei conti, un bambino troppo cresciuto (come testimoniato dall'amore quasi infantile per le tante chincaglierie, musicali soprattutto, che attorniano la sua vita) è una grave colpa. Perché Bruno vive per lasciar vivere e dunque deve essere lui a soffrire.

Impietosa analisi dell'emarginazione indotta dall'epoca contemporanea, La ballata di Stroszek è anche una gelida trasfigurazione del road movie. Solo che nel capolavoro di Werner Herzog la strada da percorrere (inutilmente) è più interiore che altro. Perché è pur vero che Bruno attraverserà prima gli ambienti urbani della Germania per poi giungere nelle sconfinate lande del Wisconsin. Ma questo itinerario (ripreso inflessibilmente con una fotografia plumbea e dalle tonalità diratate) servirà soltanto a far precipitare il protagonista nella follia, punto di arrivo per un giro in giostra con le sbeffeggianti movenze di una inquietante gallina danzante a farne da contorno. Nel film di Herzog la speranza di una vita migliore per il suo protagonista principale non esiste, se non nel tentativo di permanere al di fuori delle convenzioni imposte dalla società "civile". L'impossibilità di tale sforzo, intriso di drammatico individualismo, attirerà su Bruno gli strali di un destino per lui da sempre scritto, con lo "scippo" della casa prefabbricata e il voltafaccia dell'amata Eva. Fino al grottesco finale, con una celebrazione del vuoto esistenziale del protagonista difficile da rinvenire nella storia del cinema.

Chi scrive ritiene vergognoso che tra i famosi "centoni" sia veramente arduo trovare un film di Herzog e, tantomeno, La ballata di Stroszek. Che con il suo carico di amaro fatalismo ha anche contribuito indirettamente a creare un mito: Ian Curtis, il leader dei Joy Division, che prima d'impiccarsi nel suo appartamento di Macclesfield, sembra abbia visto proprio il film di Herzog. Un altro giro su un'altra giostra per un altro menestrello che, come Bruno, era ormai disilluso dalla vita.