Recensione L'età barbarica (2007)

Una sorta di riflessione morale sui nostri tempi e sulla nostra società, spesso molto divertente e folle, ed anche molto più visivo e vario dei precedenti 'Il declino dell'impero americano' e 'Le invasioni barbariche'.

In rifugio dalla realtà

L'ultima volta di Denys Arcand al Festival de Cannes risale al 2003, quando Le invasioni barbariche portò a casa due premi - come migliore attrice e come migliore sceneggiatura - e inaugurò così un lungo viaggio attraverso importanti riconoscimenti internazionali fino ad arrivare all'Oscar come miglior film straniero. Nonostante questo, ancora oggi, il film continua a dividere: per molti si tratta di un capolavoro, per altri di un'opera decisamente sopravvalutata. Altrettanto probabilmente succederà con questo L'âge des ténèbres che chiude in un certo senso la trilogia iniziata con Il declino dell'impero americano e proseguita con le Invasioni e chiude anche questa speciale 60° edizione della kermesse francese.

Anche questo film di Arcand è quindi una sorta di riflessione morale sui nostri tempi e sulla nostra società, ma con alcune sostanziali differenze rispetto ai due precedenti: L'âge des ténèbres non è innanzitutto un'opera corale, ma anzi un film più personale su un uomo che non si trova a proprio agio con la sua vita e con il suo ruolo nella società, ma anzi supplisce alla mancanza di emozioni della sua quotidianità (una moglie troppo presa dal lavoro, due figlie adolescenti più interessate alla vita amorosa o alla tecnologia che al loro papà, una vita sessuale inesistente) fantasticando sull'essere famoso e intervistato, sull'avere a sua disposizione un vero e proprio harem (un'attrice bella e famosa, la capufficio ridotta a schiava, la collega lesbica per un menage à trois), ma anche sul poter semplicemente raccontare i propri disagi a qualche interessato. Queste fantasie portano il film ad essere spesso molto divertente e folle, ma anche molto più visivo e vario dei predecessori.

Al tempo stesso però non manca uno sguardo cinico e spesso impietoso sul periodo che stiamo vivendo, con particolare attenzione alle contraddizioni della società occidentale in cui il consumismo e la ricerca del successo a tutti i costi ci stanno allontanando sempre di più dai veri valori e piaceri della vita, ma anche su questa paradossale volontà - da parte di alcuni - di tornare indietro come dimostra tutta la parte centrale del film ambientata in una Reinassance Fair tra tornei e cavalieri, principesse e combattimenti, con sequenze slapstick.
Il protagonista Marc Labrèche ha il phisique du role perfetto per un personaggio stralunato ma al tempo stesso così triste, e la poliglotta Diane Kruger nel ruolo di bellezza perfetta ed elegante sembra davvero appartenere al mondo dei sogni.

Movieplayer.it

3.0/5