Recensione Poetry (2010)

Affidandosi all'esperienza di Yoon Hee-Jeong - vero monumento del cinema coreano - l'autore di Poetry le consegna il peso del suo nuovo film, incentrato interamente sulla protagonista femminile, Mija. Un'interpretazione straordinaria, che integrandosi con l'altrettanto ottimo lavoro di Lee Chang-dong, dà vita ad un film articolato e pulsante.

Imparare a guardare

A tre anni da Secret Sunshine, che proprio a Cannes aveva conquistato la critica e valso il premio per l'interpretazione femminile alla protagonista Jeon Do-yeon, Lee Chang-dong torna sulla Croisette portando in concorso il suo nuovo lavoro, Poetry, confermando la bravura nella scelta delle sue attrici, affidandosi all'esperienza di Yoon Hee-Jeong, un vero monumento del cinema coreano, con 330 film all'attivo e vincitrice di 24 premi come attrice nel suo paese, al ritorno sulle scene dopo sedici anni di assenza. A lei, alla sua misura, al suo carisma ed alla sua bravura, il regista consegna il peso del suo nuovo film, incentrato interamente sulla protagonista femminile, Mija.


Il personaggio di Yoon Hee-Jeong è una donna anziana ricca di grazia e leggerezza, che ama vestirsi in modo curato, con cappelli dai toni floreali ed appariscenti, dividendosi tra l'occuparsi del nipote adolescente che vive con lei e, per lavoro, di un anziano semiparalizzato. Quando si ritrova per caso ad una lezione di poesia, le indicazioni dell'insegnante la spingono ad osservare realmente il mondo per la prima volta, a prestare attenzione ai dettagli e le sfumature di ciò che la circonda, e questo le dona un atteggiamento nuovo ed emozionante nei confronti della vita, permettendole di scoprire per la prima volta le piccole cose, di sentirsi libera. Una trepidazione che deve scontrarsi con le inevitabili difficoltà della vita, rappresentate soprattutto dall'Alzheimer ai primi stadi che le viene diagnosticato quando finalmente decide di farsi visitare, preoccupata dalle prime parole dimenticate, e dal dramma del nipote Wook, accusato insieme ad altri cinque compagni di scuola di aver spinto al suicidio una coetanea con le continue aggressioni ai suoi danni.

E' proprio il gesto della ragazza ad aprire e chiudere Poetry: la sua storia fa da filo conduttore a livello materiale, dal suo corpo che galleggia nel fiume al finale allegorico in cui la sua voce subentra a quella di Mija nel recitare il primo componimento poetico della protagonista, mentre il destino delle due figure si sovrappone. Ma è proprio la poesia, che dà il titolo al film, a donargli il tono insieme leggero e sofferto, a fare da contrappunto a quello che accade, a sottolinearlo, insieme alla ricerca dell'ispirazione, e di un senso per l'esistenza, da parte di Mija; una ricerca che, passo dopo passo, simbolo dopo simbolo, si concretizza nel suo componimento finale.
Lee Chang-dong dirige con sicurezza e fluidità, tenendo in pugno la storia ed il suo sviluppo, e il film se ne arricchisce, ma è soprattutto nella sua protagonista che trova la sua ragion d'essere, la sua sognante concretezza, la sua sofferta leggerezza, la sua poetica concretezza.

Quella di Yoon Hee-Jeong è un'interpretazione fatta di sfumature e l'attrice è abilissima nel mostrarci le più piccole variazioni nelle emozioni e nei pensieri di Mija. Basti pensare al toccante incontro tra lei e la madre della ragazza suicida, o agli incontri con i padri degli altri ragazzi accusati al pari del nipote, unica donna del gruppo e forse per questo più coinvolta nei confronti della vittima rispetto agli altri, incontri in cui è evidente il suo conflitto tra il desiderio che il ragazzo possa assumersi le responsabilità del suo gesto ed il senso di responsabilità che la spinge a preoccuparsi del suo futuro.
Dettagli di un'interpretazione da attrice consumata, che integrandosi con l'altrettanto ottimo lavoro di Lee Chang-dong, dà vita ad un film articolato e pulsante.

Movieplayer.it

4.0/5