Recensione Prince of Tears (2009)

Melodramma rarefatto e sospiroso, Prince of Tears è sostenuto da una narrazione in terza persona che raccorda sequenze dall'atmosfera fiabesca. Il che crea una bizzarra, ma non spiacevole, dissonanza con la materia narrata, che richiama una pagina oscura della storia di Taiwan

Il terrore in paradiso

Una incontaminata e assolata Taiwan è lo scenario sontuoso di Prince of Tears, melodramma di Yonfan ispirato a fatti realmente accaduti tra gli esuli militari giunti nell'isola al seguito di Chiang Kai-Shek dopo la Rivoluzione Cinese del 1949. E' il 1954 quando la famiglia di Han-Sun giunge nella soave Formosa: lui è un brillante pilota dell'aviazione del Generalissimo, lei una bella e industriosa massaia, e due splendide bambine, Li e Zhao, completano il quadro della loro felicità. Almeno fino a quando, all'improvviso e inspiegabilmente, i genitori non vengono arrestati con l'accusa di spionaggio e simpatie comuniste.

Melodramma rarefatto e sospiroso, Prince of Tears è sostenuto da una narrazione in terza persona che raccorda sequenze dall'atmosfera spesso favolistica. Il che crea una bizzarra, ma non spiacevole, dissonanza con la materia narrata, che richiama una pagina oscura della storia del governo marziale di Taiwan: il periodo del Terrore Bianco e dell'insensata, sistematica e spietata eliminazione di chiunque fosse anche nella maniera più circostanziale e vaga sospettato di rapporti con il governo comunista o anche solo di avere intrattenuto idee ad esso assimilabili. Nel caldo affresco di Yonfan, il clima di terrore è per lo più un accenno verbale, e l'attenzione è concentrata sulla famiglia attraverso il punto di vista delle due bambine (Storia delle figlie è il sottotitolo del segmento che costituisce la gran parte di Prince of Tears). L'ultima parte, Storia degli amanti perduti, prende una piega ancora più ambigua e surreale che risulta in effetti difficile da conciliare con la cronaca di eventi che coinvolsero persone reali, diverse delle quali ancora viventi.

Caratterizzato da una buona fattura tecnica, da una regia fluida e partecipe e da una elegante seppur raramente naturale messa in scena, il film vede il suo elemento di maggiore appeal nell'estetica: dai paesaggi fotografati con colori accesi al magnetismo dei protagonisti, tutti dotati di una bellezza malinconica perfetta per incarnare questa vicenda tragicamente romantica. A rendere questa esotica vicenda appetibile per il pubblico occidentale c'è anche un commento sonoro di grande centralità e di gusto assolutamente europeo.
Il problema del film, invece, risiede in una scenggiatura legnosa e didascalica che manca sia di acume e penetrazione psicologica che di propulsione narrativa. La regia, invece, è appesantita da un insistito utilizzo del ralenti che, per qualche ragione nota solo a Yonfan, sottolinea i gesti più banali dei protagonisti.
Tutto ciò fa di questo anomalo, colorato, romantico film cinese una pellicola piecevole ma non una delle più riuscite di questo 66. concorso internazionale della Mostra del cinema di Venezia.

Movieplayer.it

2.0/5