Recensione Minority Report (2002)

Dopo più di trent'anni di attività Spielberg si conferma, là dove ce ne fosse bisogno, uno dei registi più completi del cinema contemporaneo.

Il ritorno della fantascienza d'autore

Washington, Anno 2054: l'incidenza dei crimini violenti è scesa allo 0% per merito di un gruppo investigativo, chiamato Pre-Crimine, che si serve di tre veggenti, in gergo pre-cog, in grado di prevedere gli omicidi prima che vengano compiuti. Alla vigilia del referendum popolare per estendere la Pre-Crimine in tutti gli Stati Uniti, il capo della divisione (un Tom Cruise molto convincente) viene accusato del futuro assassinio di un uomo che nemmeno conosce. Inizia così la fuga dell'uomo, che viene inseguito da un agente dell'FBI dubbioso sui metodi della Pre-Crimine (Colin Farrell, un attore che avrà successo) e dai suoi stessi colleghi.

Il nuovo film di Steven Spielberg, tratto da un racconto dell'immenso Philip K. Dick, ha due pregi fondamentali per un film di fantascienza ambientato negli anni che verranno. Il primo, più pratico, è quello di mostrare un futuro allo stesso tempo credibile e fantasioso, riconoscibile in quello che la società è oggi e verosimile in quello che potrebbe essere tra mezzo secolo, con autostrade che si allungano dagli snodi incassati nei grattacieli fino ai messaggi pubblicitari fatti su misura per ogni individuo. Il secondo grande pregio è quello di assolvere in maniera quasi perfetta il compito forse più importante che una storia di fantascienza moderna dovrebbe avere: gettare, attraverso una visione allegorica del futuro, degli interrogativi e delle critiche su ciò che accade nel nostro presente.

Dal punto di vista più squisitamente tecnico e stilistico il film è una bella lezione di come si fa cinema, talmente sicura e strabiliante da rendere inutile ogni divisione tra prodotto d'intrattenimento e film impegnato. Minority Report si dipana attraverso una serie di piani di lettura diversi amalgamati così bene tra loro da risultare un poliedrico esempio d'azione, tensione drammatica e inserti filosofico-morali in perfetto equilibrio (come l'affascinante, e attuale, quesito: è giusto punire qualcuno solo per le intenzioni?). Merito di una sceneggiatura e di una regia costruite sulla struttura della fantascienza sociologica più pessimista, ma densa di situazioni che spaziano dalle atmosfere del giallo classico, al noir, fino ad arrivare, in uno splendido segmento, alla disperazione di una vicenda in pieno stile cyberpunk. Un plauso particolare inoltre va ai due attori migliori della pellicola: il solito grande Max Von Sydow e la rivelazione Samantha Morton.

Dopo più di trent'anni di attività Spielberg si conferma, là dove ce ne fosse bisogno, uno dei registi più completi del cinema contemporaneo, capace di assimilare le lezioni dei vecchi maestri (palesi, all'interno del film, richiami a Hitchcock e Kubrick) all'interno di una sua poetica personale, sempre mirata a sorprendere il cervello e a conquistare il cuore degli spettatori. Ed è forse questo il complimento migliore che si può fare a Minority Report, oltre a quello di essere il film di fantascienza migliore degli ultimi anni: di piacere sia al cervello che al cuore.