Recensione Splatters, gli schizzacervelli (1992)

Il terzo film di Peter Jackson chiude definitivamente una precisa fase della carriera del regista, e, parlando più in generale, rappresenta la fine di un determinato filone del cinema horror.

Il punto di non ritorno per Peter Jackson

Il terzo film di Peter Jackson chiude definitivamente una precisa fase della carriera del regista, e, parlando più in generale, rappresenta la fine di un'epoca, di un determinato filone del cinema horror che fece la fortuna del genere nel periodo che va dalla fine degli anni '70 fino all'inizio dei '90. L'horror grafico, lo splatter, la visualizzazione esplicita della devastazione del corpo, hanno rappresentato in quel periodo il marchio di fabbrica di registi come Stuart Gordon, Brian Yuzna, Sam Raimi e lo stesso Jackson; quest'ultimo ne ha accentuato ancora di più gli aspetti grotteschi, repulsivi e insieme comici, in una dialettica che ha portato alle estreme conseguenze le premesse già poste dai suoi colleghi.
Con questo film, uscito nel 1992, Jackson mette definitivamente la parola fine a quel modo di fare horror, realizzando un'opera che di esso può essere considerata, sia guardando il cinema del regista neozelandese, sia più in generale quello dell'orrore, il punto di non ritorno. E' un commiato, dunque, quello di Jackson, un commiato dalla sua "adolescenza" cinematografica e da un filone florido e straordinariamente vitale del cinema della paura: ed è un commiato, è il caso di dirlo, in grande stile, con una vera e propria festa splatter che annichilisce, dal punto di vista grafico, qualsiasi pellicola realizzata in precedenza, e fa letteralmente e definitivamente cadere a pezzi tutti i canoni del buon e (soprattutto) cattivo gusto.
Il successo dei film precedenti diede a Jackson la possibilità di lavorare con più mezzi, e questo è evidente fin dalle prime scene del film: la fotografia è molto curata, e gli effetti speciali e di make-up sono decisamente più realistici rispetto alle precedenti opere del regista. La storia rivela subito i suoi connotati grotteschi: dopo un sanguinoso prologo ambientato nella foresta neozelandese, facciamo la conoscenza di Lionel e della sua folle e possessiva madre; la donna cerca in tutti i modi di ostacolare il rapporto del giovane con la bella Paquita, che ha "visto" nei tarocchi il suo destino legato a quello di Lionel. L'atmosfera idilliaca dell'incontro dei due ragazzi al giardino zoologico viene subito interrotta dalla presenza della folle genitrice, che viene accidentalmente morsa da una rara e pericolosa scimmia. La vecchia si trasformerà così in uno zombie sanguinario, contagiando in breve un gran numero di persone. Come nel precedente Fuori di testa, Jackson accentua subito il carattere grottesco della vicenda e quello caricaturale dei suoi personaggi con scelte di regia ben precise: c'è un forte uso di grandangoli e di primissimi piani, mentre la recitazione è costantemente sopra le righe. Sembra divertirsi un mondo, il regista, a smontare pezzo per pezzo tutta una serie di istituzioni e di consuetudini borghesi (la famiglia, la chiesa, la venerazione per i morti), con una verve folle e anarchica ancora più spinta rispetto ai suoi film precedenti. Il contrasto tra il carattere idilliaco della cittadina in cui il film è ambientato, e la natura deviata dei suoi personaggi (oltre alla madre di Lionel, sono da ricordare un farmacista nazista convinto di essere perseguitato dagli ebrei e il disgustoso zio del giovane, interessato all'eredità della defunta sorella), esplode definitivamente dopo la trasformazione di questi in zombi: è da ricordare a questo proposito un'esilarante "cena" tra morti viventi, che finisce in un coito post-mortem tra un prete-zombi e un'infermiera quasi senza testa che genererà un marmocchio orrido e pestifero.
Jackson si scatena letteralmente nel finale, in un'orgia splatter di arti mozzati, corpi triturati, e sangue ad ettolitri, che non può essere descritta ma va semplicemente vista. E' da notare comunque, ancora una volta, l'assoluta padronanza tecnica del regista nel dirigere anche le scene più deliranti, e l'assoluto, irrefrenabile, folle divertimento che proprio queste ultime finiscono inevitabilmente per procurare allo spettatore. Ed è da notare anche, in alcune scelte di montaggio, e soprattutto negli onirici flashback che ricordano al protagonista un oscuro episodio della sua infanzia, un'anticipazione del Jackson che verrà: il ragazzino che si diverte un mondo a provocare, ad abbattere i limiti del cattivo gusto, e a giocare con la macchina da presa, sta per lasciare il posto al maturo regista che solo due anni dopo conquisterà la platea di Venezia con lo splendido Creature del cielo.
Due parole, infine, vanno spese (purtroppo) per lo scandaloso adattamento italiano (ma più che di adattamento, in questo caso, bisognerebbe parlare di riscrittura totale dei dialoghi), che snatura completamente il tono del film: l'arbitraria modifica di molte battute, e l'aggiunta di sana pianta di altre (in particolare tutte quelle degli zombi, che nella versione originale non parlano) trasformano l'originale mood tra il disgustoso e il grottesco in una demenzialità spiccia, gratuita e di bassa lega. Saremmo curiosi di sapere se Jackson è a conoscenza del trattamento che è stato riservato al suo film nel nostro paese, e, in caso affermativo, quali siano i suoi pensieri a riguardo. Da parte nostra, non possiamo che consigliare fortemente la visione della versione originale del film, considerata anche la comprensibilità media dei dialoghi per chi abbia una conoscenza anche solo discreta della lingua inglese.

Movieplayer.it

4.0/5