Recensione Sedia elettrica (2012)

Un ottimo backstage, caratterizzato da un montaggio rapido ed efficace e da interviste brevi, ma cariche di senso, che ci svela i segreti della nuova vita sul set del maestro Bertolucci.

Il piacere del cinema

A cinque anni dalla malattia che l'ha colpito costringendolo sulla sedia a rotelle, Bernardo Bertolucci è tornato al lavoro realizzando l'intenso Io e te. La lavorazione della pellicola, presentata come evento speciale nel corso della passata edizione del Cannes Film Festival, è stata documentata con passione dalla regista Monica Stambrini che ne ha tratto un denso backstage. Il risultato, intitolato Sedia elettrica, viene presentato alla Mostra di Venezia nella sezione Venezia Classici. Prima di affrontare le varie fasi di lavorazione del film, il backstage dedica qualche istante a fotografare la nuova situazione di Bertolucci e di quella che lui chiama la sua 'sedia elettrica'. La fragilità e l'umanità di un grande artista vengono svelate in pochi flash, particolarmente toccanti, che mostrano Bertolucci costretto a essere issato sul treno col suo mezzo di locomozione o ripreso in un intimo primo piano mentre esprime ansia e preoccupazione per l'imminente inizio delle riprese. L'oggetto privilegiato del backstage è, però, il set torinese del suo nuovo film dove, a contatto con la giovinezza di Tea Falco e Jacopo Olmo Antinori, interpreti rivelazione di Io e te, il maestro emiliano sembra riscoprire la verve e la linfa vitale da imprimere nel suo nuovo lavoro. La stessa giocosità, la stessa giovinezza del cuore che hanno accompagnato Bertolucci nel corso della sua opera e che fanno parte anche di questa nuova fase della sua carriera.

Nello spazio di quarantasette minuti Monica Stambrini alterna frammenti di riflessioni, indicazioni registiche, e immagini off the record che testimoniano la vitalità dei due attori in erba plasmati da Bertolucci davanti alla sua cinepresa, ma affronta anche questioni più tecniche, come la discussione del regista con i suoi collaboratori sulla sua iniziale volontà di girare Io e te in 3D rinunciando all'uso della pellicola. Il set, garage-rifugio del giovane protagonista in cui irrompe la sorellastra bellissima e piena di problemi, viene mostrato sia negli esterni che negli interni intimi, quasi claustrofobici. Bertolucci cerca il contatto tra i suoi interpreti, dirige scene intense, molto fisiche, quasi a ricercare nel film quel contatto corporeo negatogli dall'ingombrante sedia elettrica. Lo stesso strumento gli permette, però, di spostarsi agevolmente sul set tornando a svolgere l'amato mestiere e tanto basta per dedicare alla sedia il titolo del backstage. Il regista trova anche la forza per fare ironia sulla sua condizione ipotizzando che l'essere costretto alla sedia a rotelle sia una sorta di contrappasso per aver fatto impazzire la sua troupe con la sua ossessione per i dolly. La cronaca delle riprese viene inframezzata dalle visite sul set di alcuni amici, come la grande Debra Winger e un serafico Richard Gere che dimostra grande interesse per la genesi letteraria del film, interrogando i giovani interpreti sulla natura dei loro personaggi. Chiosa finale dell'ottimo backstage, caratterizzato da un montaggio rapido ed efficace e da interviste brevi, ma cariche di senso, è la ripresa di una delle scene di culto di Io e te, la famosa danza tra i due fratelli che, nella cantina, si stringono sulle note di Ragazzo solo, ragazza sola di David Bowie. Un tuffo nella giovinezza di Bertolucci. Giovinezza che, a ogni sua nuova produzione, rivive di volta in volta sul grande schermo.

Movieplayer.it

4.0/5