Recensione Le deuxième souffle (2007)

In diverse sequenze, ralenti e dettagli iperrealistici evocano improvvisamente scenari fumettistici estranei alla sobrietà del genere, e l'effetto, pure originale e interessante, è di straniare lo spettatore.

Il noir tra ieri e oggi

Manouche, l'anima bionda e femminile di un torvo ambiente malavitoso, è reduce dall'ennesima "vedovanza": il suo uomo, Jacques, è stato ucciso sotto i suoi occhi dagli scagnozzi di Jo Ricci, che ora sono alla sua porta, beffardi e minacciosi, a imporre le proprie ragioni e i propri ricatti. A salvarla giunge un'ombra del passato: Gu, l'amore mancato di tanti anni prima, appena evaso di prigione e immediatamente accorso al fianco della bella. Gu è un gangster inesorabile e temuto, ma anche un uomo tutto di un pezzo, con i suoi rituali, le sue regole, il suo codice morale. Di fronte alla possibilità di lasciare la Francia con Manouche, l'uomo esita, perché sarebbero i soldi di lei a portarli a crearsi una nuova vita in Italia (Gu era ricchissimo, ma ha perso tutto dopo l'arresto), e lui non può accettarlo. Alla prima occasione, quindi, si imbarca in un lucroso progetto di rapina che, inizialmente - a parte un paio di cadaveri di sbirri di troppo - sembra riuscire alla perfezione. Ma è solo questione di ore prima che Gu venga beffato da un poliziotto particolarmente astuto, che riuscirà, con un escamotage, a farlo passare per un traditore dei suoi compagni...

Le deuxieme souffle è, più che un remake del capolavoro omonimo di Jean Pierre Melville, un altro, aggiornato, adattamento del romanzo di José Giovanni, autore che narrò la malavita dal di dentro, essendo un ex carcerato nonché un evaso. Ma in buona parte Alain Corneau cerca di ricreare le inconfondibili atmosfere fumose e sommesse, oltre a mantenere la vicenda nell'originaria collocazione temporale, ovvero nei tardi anni Cinquanta. La sua scelta è quella di narrare una storia d'altri tempi in modo moderno, con mezzi moderni: Le deuxieme souffle è una produzione sontuosa, girata con piglio attuale, con sorprendenti scelte di regia e agili movimenti di macchina, oltre a stilemi mutuati dal più recente action movie e dal noir orientale. Il risultato è che, in diverse sequenze, ralenti e dettagli iperrealistici evocano improvvisamente scenari fumettistici estranei alla sobrietà del genere, e l'effetto, pure originale e interessante, è di straniare lo spettatore, che già è alle prese con personaggi silenziosi, ostici, distanti; inutile dire che la combinazione non facilita il coinvolgimento nella vicenda, per quanto questa sia ben narrata, e per lo più ben recitata. Daniel Auteil nel ruolo dell'eroe Gu è apprezzabile anche per come cerca di sfruttare la propria mancanza del physique du role, ma il più bravo sulla scena ci è sembrato Michel Blanc, nel ruolo di un detective cinico e istrionico. La nostra Monica Bellucci, in un ruolo molto fisico nonostante l'effettiva inazione, è sempre splendida: una rosa che, al massimo della sua fioritura, esplode di profumo. Continua purtroppo a mancarle autentica credibilità e sembra sempre una bellissima donna (bionda, in questo caso) del tutto estranea ai fatti, questa volta particolarmente lacrimosa.

Un film di apertura dignitoso, dunque, per il Concorso internazionale della seconda edizione della Festa del cinema di Roma; era ampiamente legittimo, tuttavia, considerate le premesse, aspettarsi qualcosa di meglio.

Movieplayer.it

3.0/5