Recensione Hulk (2003)

Ang Lee, regista di classe, alle prese con un soggetto più commerciale riesce ad imporre un proprio stile personale, ma non trova il giusto equilibrio.

Il mostro del vicino è sempre più verde

Ripercorrendo per un attimo la carriera di un cineasta come Ang Lee viene innanzitutto da chiedersi cosa ci faccia dietro la macchina da presa dell'ennesimo blockbuster tratto da un fumetto: Lee si è fatto conoscere agli inizi degli anni '90 con i deliziosi Il banchetto di nozze e Mangiare bere uomo donna, ha sorpreso tutti con lo splendido Ragione e sentimento e raccolto altrettanti consensi con il seguente Tempesta di ghiaccio, ma è del 2000 la consacrazione definitiva con il pluripremiato La tigre e il dragone. Che il passo successivo sarebbe stato un film come Hulk nessuno se lo sarebbe potuto mai aspettare, ma da un regista che così bene è riuscito a spaziare da un genere ad un altro, conservando quell'impronta personale che sempre caratterizza i registi più talentuosi, era più che lecito attendersi un nuovo capolavoro.
Così purtroppo non è. Ma andiamo con ordine e vediamo la trama: in seguito ad un incidente in laboratorio, letale per qualsiasi essere umano, lo scienziato Bruce Banner acquisisce poteri straordinari che lo portano a trasformarsi in un mostro verde ogni qual volta non riesce a controllare la sua ira. In realtà dietro a questa strana trasformazione c'è il padre David, biologo a sua volta, che, ostacolato nei suoi esperimenti dal Maggiore Ross (padre di Betty, collega di David), aveva tempo prima avviato le sperimentazioni su sé stesso, trasmettendo così le mutazioni del suo DNA al figlio.

Fin dalle prime scene del film, due scelte fondamentali del regista appaiono subito evidenti. La prima è la scelta di un montaggio e di una regia decisamente inusuali per gli standard odierni: picture in picture, split screen e dissolvenze incrociate sono solo alcune delle tecniche che Lee sceglie di utilizzare per regalarci un effetto da fumetto, e bisogna dire che in alcuni momenti sembra davvero di trovarsi di fronte a delle tavole animate prese direttamente da un albo della Marvel. Il secondo elemento che non si può non notare è l'approfondimento psicologico del protagonista, e del suo rapporto con il suo lavoro, con Betty e soprattutto con il padre, presente nella prima ora: più che un film d'azione, sembra di avere davanti un dramma psicologico "da tragedia greca".
Due aspetti significativi che avrebbero potuto effettivamente offrire quel "qualcosa in più" se fossero stati sfruttati con moderazione - cosa che purtroppo non avviene - ma che finiscono col rappresentare due tra i maggiori problemi della pellicola: l'eccessivo utilizzo di virtuosismi nella regia e nel montaggio, sebbene di sicuro interesse nelle prime apparizioni, incomincia ben presto a stancare (e ad innervosire) alla decima apparizione, finendo inevitabilmente col farsi odiare già a metà film quando il (lungo) arrivo degli elicotteri alla base militare è seguito da decine di camere e inquadrature diverse; il maggiore risalto degli aspetti psicologici dei protagonisti è effettivamente una buona idea, ma andava probabilmente meglio equilibrato tra la prima e la seconda parte, e non quasi esclusivamente nei primi 60 minuti come effettivamente avviene.
Se in più aggiungiamo anche la totale mancanza di humour (caso piuttosto raro per film di questo tipo), è evidente il perché della sensazione di stanchezza, se non noia, che, con tutta probabilità, colpirà la maggior parte degli spettatori, soprattutto considerando che il pubblico medio di un film del genere è abituato a ben altri ritmi.

Sceneggiatore e regista sembrano essersi resi conti di questo problema ed è così che, per accontentare il resto del pubblico voglioso di azione ed effetti speciali, la seconda parte del film è quasi esclusivamente dedita ad esplosioni, salti, combattimenti con cani mutanti, carri armati e chi più ne ha più ne metta. Diventa così quasi impossibile cercare di ricordare quale fosse il senso di tutti quei bei discorsi fatti nella prima metà, d'altronde quando si ha di fronte una massa muscolare verde grossa come una montagna che salta e corre con l'agilità di una lepre, filosofia e psicologia lasciano il tempo che trovano.
La realizzazione dell' Hulk digitale di cui tanto si era parlato è sicuramente apprezzabile, anche se, di questi tempi, di certo non strabiliante, e nonostante in qualche momento non possa non far pensare ad uno Shrek più muscoloso e meno espressivo, svolge più che bene il suo lavoro. Altrettanto ci piacerebbe dire della sua controparte in carne ed ossa, l'attore Eric Bana, che in quanto ad espressività si avvicina ai livelli del granitico gigante verde, ovvero zero: chi l'avrebbe mai detto che saremmo arrivati a rimpiangere perfino il Lou Ferrigno dell'omonima serie tv!
Passando agli altri attori protagonisti la musica per fortuna cambia visto che la bellissima Jennifer Connelly ci regala una nuova splendida performance come da suoi ultimi standard (vedi A Beautiful Mind e Requiem for a Dream) e altrettanto fa Sam Elliott nel ruolo del padre, il Maggiore Ross, ma la parte del mattatore spetta al solito Nick Nolte che intepreta magistralmente David Banner, ruolo che potrebbe aprirgli le strade alla terza nomination agli Oscar e, chissà, alla prima statuetta.

In conclusione, Hulk è effettivamente un tentativo di realizzare un film sofisticato e d'autore partendo da una base prettamente commerciale come quella, appunto, di uno dei fumetti più famosi del mondo, ma il risultato è poco più che sufficiente: oltre a tanti buoni propositi rimane solo un film tecnicamente valido ed in parte anche originale, ma troppo poco equilibrato.

Movieplayer.it

3.0/5