Recensione Kontroll (2003)

Un film che, nonostante qualche difetto di script, coglie nel segno per la sua capacità di descrivere un mondo con precisione e ricchezza di dettagli, riuscendo a renderlo credibile e nello stesso tempo dando ad esso una forte valenza simbolica.

Il mondo sommerso

E' notte perenne, sotto il metrò. La luce del sole non entra qui sotto, e le vite di coloro vi passano sono colte in attimi di verità, momenti che si dissolvono quando si torna in superficie e le convenzioni tornano a coprire quello che qui continua a celarsi al mondo. C'è chi nel metrò ci vive perennemente, 24 ore su 24, come il giovane controllore Bulcsú; c'è chi ama questo mezzo e lo usa quotidiamente per assaporare la sua natura di crocevia di vite, come la misteriosa Szofi; c'è chi ci lavora e dedica ad esso il suo tempo per necessità, ma in fondo gode del suo avvolgente abbraccio, come i colleghi di Bulcsú; e c'è anche chi ha deciso che il metrò debba essere il teatro per gesta che saranno ricordate, come il giovane che spruzza gli ignari passanti con una bomboletta spray, o il misterioso assassino che uccide i passeggeri spingendoli sotto i treni. Per tutti c'è un prezzo da pagare, non necessariamente e non solo quello del biglietto: ma non tutti saranno disposti a pagarlo senza obiettare.

Colpisce immediatamente l'occhio, questo esordio nel lungometraggio di Nimròd Antal (statunitense trapiantato in Ungheria, già regista di spot pubblicitari e videoclip), con un'estetica curatissima che raffigura in modo iperrealista e "sopra le righe" il mondo sotterraneo della metropolitana di una grande città: luci al neon, colori, facce e personaggi borderline si alternano senza posa davanti alla macchina da presa, individui la cui vita, anche se trasfigurata in un universo in un certo modo onirico, viene colta nella sua vera essenza, per nevrotica, placida o irrimediabilmente corrotta che sia. Vite che si incrociano e cercano di entrare in contatto l'una con l'altra, in modo costruttivo o conflittuale, in un universo che ha le sue regole e i suoi rituali: così, le diverse squadre di controllori si squadrano in cagnesco l'una con l'altra come bande metropolitane rivali (similitudine rafforzata dalle "divise" di una squadra rivale), le risse tra di esse sono tollerate e c'è persino chi decide di sfidare il suo nemico a una mortale gara di corsa sui binari, con il treno alle spalle in arrivo e il cuore che potrebbe pompare adrenalina per l'ultima volta. Un universo autosufficiente, quindi, in cui il giovane Bulcsú ha deciso di ritirarsi perché scontento della vita "fuori": non servono grandi spazi quando il senso di vuoto ti attanaglia dentro, quando la vita che vivi è un simulacro di quella che avresti voluto. Meglio ritirarsi in questo pezzo di mondo, limitato nello spazio ma pullulante di vita reale: sarà così finché il killer del metrò, pericolosa "nemesi" del protagonista, e l'incontro con Szofi non verranno a sconvolgere di nuovo l'ordine delle cose.

Il film colpisce positivamente per la lenta digressione da un tono iniziale da commedia, giocato sull'esasperazione grottesca e iperrealista di fatti, situazioni e personaggi, alle atmosfere da dramma psicologico, con una forte vena malinconica, dell'ultima parte. La componente thriller, incarnata dalla presenza dell'assassino, è la più debole: assente per lunghi e riuscitissimi tratti di film, riportata in primo piano solo nel finale, sembra inserita nella sceneggiatura più per la necessità di dare al film una schematica classificazione "di genere" piuttosto che per una reale necessità narrativa. Il finale, volutamente ambiguo ma anche un po' affrettato, lascia una sensazione di incompiutezza latente che accompagna lo spettatore per molti minuti dopo la visione.

Nonostante i difetti di uno script che poteva certo essere maggiormente curato, questo Kontroll coglie comunque nel segno per la sua capacità di descrivere un mondo con precisione e ricchezza di dettagli, riuscendo a renderlo credibile e nello stesso tempo dando ad esso una forte valenza simbolica. E se è vero che chi scrive, la mattina dopo la visione, prendeva la metro osservando l'ambiente circostante e i volti che lo affollavano con un occhio diverso, questo è il segno indiscutibile che, almeno nel caso specifico, il film ha funzionato.

Movieplayer.it

3.0/5