Il futuro della fiction italiana?

Si è tenuto nell'ambito dell'edizione 2010 del Roma Fiction Fest un incontro con Ivan Cotroneo, autore televisivo che ha saputo conquistarsi i favori di critica e pubblico, compiendo l'impresa quasi epica di svecchiare il palinsesto di Rai Uno.

La terza giornata del RomaFictionFest ha dedicato uno spazio importante alla fiction italiana, e in particolare a uno dei suoi protagonisti più recenti, che ha saputo conquistarsi i favori di critica e pubblico compiendo l'impresa quasi epica di svecchiare il palinsesto di Rai Uno. Si tratta di Ivan Cotroneo, sceneggiatore di Tutti pazzi per amore, che prima di approdare sulla rete ammiraglia ha affrontato un percorso tortuoso, iniziato con gli studi in legge a Napoli, poi abbandonati senza rimpianto per il Centro Sperimentale di Cinematografia a Roma.
Le prime esperienze sono di assistente alla regia per Pappi Corsicato, con il quale collaborerà anche alla sceneggiatura de I vesuviani e Chimera, ma non meno interessanti sono le incursioni nella televisione, tra le quali sono da sottolineare quelle ne L'ottavo nano e Parla con me.
Non meno significativo è anche il lavoro svolto insieme a Lina Wertmuller per Mannaggia alla miseria, rispetto a cui Ivan dichiara: "E' stata un'esperienza bellissima, nonostante le nostre diversità. Il soggetto era già stato scritto dalla Wertmuller, e io mi sono limitato a dare una mano per rappresentare efficacemente il mondo di Napoli, che è anche il mio". Quello che il giornalista Massimo Bernardini, moderatore dell'incontro, considera l'unico scivolone artistico di Ivan è la stesura dell'adattamento cinematografico di Questo piccolo grande amore; scivolone ampiamente recuperato dal lavoro di traduzione delle opere del drammaturgo britannico Hanif Kureishi.

Ma venendo all'argomento principe dell'incontro, ovvero la nascita dell'inaspettato e straordinario successo di Tutti pazzi per amore, Ivan ci ha spiegato che per lui si trattava sì della prima esperienza in fatto di serie lunghe, ma che, nonostante la portata eversiva del progetto, nessuno degli sceneggiatori l'ha mai considerata un esperimento. L'idea era quella di divertirsi e divertire con un linguaggio che fosse il più vicino possibile a quello dei giovani e a quello delle fiction di provenienza anglosassone che spopolano in Italia. "Il pensiero di dover scrivere il soggetto per ventisei puntate, considerato che avevo studiato per il cinema, e mi muovevo su formati di cento minuti circa, mi aveva messo addosso un po' di panico. Ma grazie a Monica Rametta, che spero sarà la mia compagna di scrittura per la vita, ce l'abbiamo fatta".
Nonostante le insistenze di Bernardini, scettico rispetto all'idea di una collaborazione pacifica tra il team di sceneggiatori e mamma Rai, nemmeno Claudia Aloisi ammette alcuna discordanza: _"Noi di Rai Uno e Rai Fiction abbiamo cercato la collaborazione di Publispei proprio perché sapevamo che attraverso di loro potevamo riuscire ad arrivare ad un pubblico più difficile. Certo ci sono voluti tre anni di lavoro per trovare lo stile giusto, ma ci siamo riusciti". _

Un aspetto di grande interesse rilevato da Bernardini è come, con il passare del tempo, la serie abbia saputo innovare sè stessa: a tale proposito è significativo il confronto tra l'esordio della prima stagione, classico nell'impostazione e un po' "furbetto" nel mettere subito il campo la figura della bambina che, si sa, in televisione fa sempre scena, e la puntata del funerale di Michele, dove, tra la vedova in costume da Marilyn e la bara usata come elemento coreografico, c'è di che far rizzare i capelli al pubblico di compassate famiglie tradizionali.

Cotroneo ci tiene subito a precisare che "quella della bambina non voleva essere una trappola narrativa, l'ispirazione ci è venuta da Insonnia d'amore di Nora Ephron. Per la scena della bara, beh, avevamo capito da subito che nella serie sarebbe potuto succedere un po' di tutto, i nostri sono personaggi che riservano delle sorprese".
Questa maggiore spregiudicatezza si è rivelata, però, secondo Bernardini, un'arma a doppio taglio. Dalla prima alla seconda stagione sono infatti stati persi alcuni punti di share, e la media degli spettatori è passata da più di cinque milioni a circa quattro e mezzo. Rispetto a questo Cotroneo non è apparso troppo impensierito: "Avere costantemente questo tipo di preoccupazione ci avrebbe portato a non rischiare più. Personalmente sono contento di aver realizzato quella scena in quel modo: è stata l'occasione di parlare di un tema importante come quello dell'elaborazione del lutto in maniera non tradizionale."
In realtà, ci confida Cotroneo, sin dal termine della prima stagione il personaggio di Neri Marcorè aveva dato filo da torcere agli sceneggiatori. Dopo una quindicina di puntate incentrate sul tormentato amore, un po' alla Cyrano De Bergerac, con Monica, c'era il rischio che la tranquilla quotidianità della nuova coppia non avesse lo stesso mordente sul pubblico. Inoltre Neri, impegnato in un tour teatrale, non poteva assicurare una presenza assidua sul set, e proprio da questo inconveniente è nata l'idea della sua morte e successiva riconversione in spirito dell'aldilà, chiaramente ispirato al protagonista de Il cielo può attendere.

Citare la rocambolesca storia d'amore tra Monica e Michele ha permesso di dedicare un sentito omaggio al recentemente scomparso Pietro Taricone, che nella vicenda aveva svolto il ruolo del bel corteggiatore dalla scarsa cultura. Cotroneo ricorda come, in seguito all'entusiasta risposta del pubblico alla partecipazione dell'attore, venne deciso di inserire il personaggio di Pietro anche nella seconda stagione, nella quale sarà protagonista di una storia d'amore con la donna più improbabile, l'algida Lea.
Ciò che, secondo Bernardini, rende Tutti pazzi per amore un esemplare unico nel panorama dei prodotti televisivi italiani è il frazionamento dei piani narrativi: c'è quello della realtà, quello dei sogni dei protagonisti, quello dei momenti musicali, quello della fantasia, il Paradiso da cui Michele osserva le vicende terrene e il metaracconto personificato dal dottor Freiss. Anche questa originalissima figura è andata incontro, con il prosieguo della narrazione, ad un'evoluzione che l'ha portata, da semplice parodia, quasi da mina vagante, a un elemento capace di inserirsi a pieno titolo nella storia: "Il personaggio di Battiston e quello della Signoris ci hanno permesso di risolvere un sacco di problemi narrativi: ad esempio sono loro a giustificare il cambio dell'attrice protagonista quando Stefania Rocca si è assentata per maternità, o a suggerire la nascita dell'amicizia tra Monica e Laura." spiega Cotroneo.
Uno dei motivi per cui la serie ha avuto tanta presa sul pubblico dei più giovani è il linguaggio naturalistico, insieme alla scrittura piana animata, però, da scelte registiche anticonvenzionali. L'uso di tagli e flashback, di parallelismi e di cambio di punti di vista, ha permesso di trattare temi tradizionali attraverso uno spirito nuovo. E alla divertente parodia realizzata dall'impietoso team di Boris, che sbugiarda la presunta originalità della serie accusandola di aver applicato una patina di glamour su un impianto altrimenti banale, Cotroneo risponde un po' piccato attraverso una citazione: "Mi ricordo un'intervista del TG1 a Lucio Fontana in cui il giornalista lo esortava a commentare chi affermava che le sue tele le avrebbe potute realizzare chiunque. E Fontana rispose semplicemente 'se le sanno fare, allora che le facciano'."