Recensione Il flauto magico (2006)

L'esperienza accumulata da Kenneth Branagh nei suoi precedenti lavori si pone qui al servizio dello straordinario capolavoro di Mozart trasformando un'opera fitta di simbologie massoniche e complesse allegorie in un entusiasmante affresco antimilitarista.

Il flauto della pace

Dallo straordinario connubio tra opera lirica, teatro e cinema nasce The magic Flute di Kenneth Branagh. Il giovane soldato Tamino sfugge alla morte nella guerra di trincea grazie a tre avvenenti infermiere che lo conducono presso la Regina della Notte, capo di una delle due fazioni si che fronteggiano. La donna lo affida alla guida di Papageno, addetto all'addestramento dei canarini che rilevano i gas letali nelle trincee; insieme i due giovani dovranno liberare Pamina, la figlia della regina prigioniera del terribile nemico Sarastro. Giunti al suo palazzo, però, i due giovani si renderanno conto che l'uomo è un sovrano saggio e giusto e ha rapito Pamina unicamente per sottrarla alle grinfie della terribile madre e proteggerla dai pericoli della guerra. Tamino si innamora follemente della fanciulla immediatamente ricambiato, ma prima che i due giovani possano coronare il loro amore verranno imposte loro terribili prove da superare.

Quando si parla di adattamenti teatrali non può non venire in mente subito il grande Kenneth Branagh, il maggior interprete dell'opera shakespeariana trasposta sul grande schermo. Erede di Laurence Olivier, Branagh non solo ha dimostrato di possedere la giusta sensibilità registica per tradurre in immagini spettacolari le complicate scaramucce del Bardo, ma si è già cimentato con il musical in Pene d'amor perdute. Ecco che l'esperienza accumulata nei suoi precedenti lavori si pone qui al servizio dello straordinario capolavoro di Mozart trasformando un'opera fitta di simbologie massoniche e complesse allegorie in un entusiasmante affresco antimilitarista. Particolarmente azzeccata la scelta di trasporre l'ambientazione passando dall'originario Antico Egitto alle polverose trincee della Prima Guerra Mondiale, cambiamento che permette di attualizzare il profilo dei personaggi e il messaggio che sottende all'opera senza però alterarne la struttura originale né la predominanza assoluta della musica. Il merito principale di Branagh è quello di aver capito che per un lavoro di questo tipo era necessario trovare un linguaggio completamente nuovo, che si situasse a metà tra cinema e opera, e il regista irlandese sembra esserci pienamente riuscito. Fin dalla prima sequenza (un lungo virtuosistico piano-sequenza) la macchina da presa fluttua liberamente al ritmo degli archi e delle progressione musicali, inquadra paesaggi fiabeschi dalle tinte pastello per poi gettarsi in picchiata nel buio delle trincee. La cifra fantastica e spettacolare della pellicola richiede, ovviamente, una gran quantità di effetti speciali digitali e soluzioni irrealistiche che Branagh riesce a gestire con equilibrio senza mai strafare né eccedere con i barocchismi.

Intelligente la scelta del regista di scritturare per il film veri cantanti d'opera sconosciuti al grande pubblico, ma immediatamente in parte nella complicata veste di attori canterini. I giovani interpreti esibiscono grande naturalezza sullo schermo e si dimostrano capaci di sostenere la vicinanza della macchina da presa che ne segue da vicino i movimenti coreografati e i volti espressivi per aumentare il pathos delle scene più suggestive. Ma Branagh si spinge oltre, non accontentandosi degli scambi di battute stereotipate tipici dell'opera lirica, ma suggerendo possibili sviluppi psicologici nel carattere di alcuni personaggi, prima tra tutte la misteriosa figura della Regina della Notte, un misto tra una dark lady e un fiero condottiero, che va incontro a una fine ambigua e spettacolare. In tutta l'opera si respira, inoltre, quella vena ironica tipicamente british che stempera l'affettazione e l'artificiosità della lirica, dando vita a una pellicola godibile e spettacolare che neppure il confronto con Ingmar Bergman è riuscito a desistere dal suo tentativo, quello di far rivivere l'opera lirica sul grande schermo trasformandola in una forma di intrattenimento meno elitaria e più godibile.

Movieplayer.it

3.0/5