Il doppiaggio di REC: la voce del terrore

Un incontro con Antonello Governale, direttore dell'innovativo doppiaggio italiano realizzato per l'atteso reality-horror firmato da Jaume Balaguerò e Paco Plaza.

Mancano pochi giorni al suo lancio cinematografico e già se ne parla. Non per la trama, non per gli effetti speciali, ma per il modo in cui si è scelto di proporre la pellicola al pubblico. I registi Jaume Balaguerò e Paco Plaza hanno deciso di raccontare le incredibili nonché grottesche vicende dei protagonisti di REC attraverso l'utilizzo di cineprese televisive a mano. Non per una questione di stile, ma per rendere i fatti raccontati reali, veri, e non verosimili. Lo spettatore sarà quindi catapultato dentro ogni azione, ma soprattutto dentro il terrore, esattamente come vissuto dai protagonisti del film.

Le terrificanti vicende raccontate in REC si svolgono in un condominio che presto si trasforma in un luogo infernale senza via d'uscita. Qui fanno il loro ingresso una squadra di vigili del fuoco e una troupe Tv che registra ogni singola azione, ogni parola, ogni tragedia che da li a poco si consuma nel palazzo. Nessuna immagine è filtrata, lo spettatore vede con gli occhi del cameraman che sta documentando tutti gli eventi. Un terrore che ha fine solo quando il tasto Rec smette di registrare.
Non sono solo le tecniche di ripresa a rendere questa pellicola più vera che mai, ma anche l'innovativa forma di doppiaggio sperimentata per la prima volta da Antonello Governale, direttore del doppiaggio della pellicola horror, con cui abbiamo fatto un'interessante chiacchierata.

Antonello, come è iniziata e come è proseguita questa esperienza?

Antonello Governale: Tutto è iniziato come spesso accade in molte esperienze. Ti sottopongono un progetto e ti dicono: "E' un progetto particolare", e tu cosa fai? Vedi il film e, a seconda del tipo di pellicola, sai di avere diverse opzioni per lavorarci sopra. Vedendo questo film, però ho capito che non avevo altro che questa opzione, quella che ho perseguito fino alla fine. Sono entrato nell'atteggiamento di una persona che riceve per posta o da un conoscente un filmato di un fatto che è accaduto. E gli viene chiesto: "Riesci a farlo rivivere?", e sottolineo, rivivere, in italiano. Così ho deciso che non potevo utilizzare un normale doppiaggio, perché il doppiaggio si fa per la fiction, per qualcosa di irreale. Nella fantasia si sa ci sono gli eroi, le principesse, i ranocchi. Il ranocchio che cos'è? Il carattere, è la figura un po' buffa che deve farti sorridere, la principessa è la donna, l'amore. L'eroe è quello che risolve i problemi. Gira e rigira la fiction gira ancora su queste figure, con queste figure tu componi il doppiaggio, perché si tratta di personaggi riconosciuti.
L'eroe parla con voce decisa, prende pochi fiati. Ma quando tu parli di storie vere, di emozioni, vedi le scene che hanno girato, le vedi, e ci credi. Quando non c'è musica, non c'è niente, è come se avessero girato davvero con una cinepresa.

In che modo hai dovuto riportare la verità?

Quando hai il compito di riportare la verità, devi saper riportare anche tutte le emozioni. Riportare le emozioni, vuol dire anche saper convincere gli attori che la stanno vivendo questa esperienza. Devi ottenere da loro, battuta per battuta, sporcatura per sporcatura, respiro per respiro, la verità. La verità è un po' come la barzelletta, che per far ridere deve avere i tempi giusti. Se sbagli il tempo comico non ridi più, anche se si tratta della barzelletta più forte al mondo. Anche per interpretare la verità accade qualcosa di simile; per questo motivo abbiamo usato una tecnica che abbiamo chiamato emulazione della presa diretta.
Come hai avuto modo di vedere i microfoni non sono fissi, spesso si muovono, gli attori si muovono, per dare questa idea di realtà. È come se stessero girando la scena, non sono appoggiati al leggio come un lavoro di doppiaggio qualsiasi. Partecipano attivamente a quello che vivono, devono capire e vivere l'episodio realisticamente, altrimenti l'emozione non arriva.

Dunque per REC l'unica strada era riprodurre la realtà?

Non credo ci sia un altro modo per interpretare un film come questo, se non quello che abbiamo usato noi. Tanto più che la recitazione che abbiamo utilizzato non è quella prevista dal doppiaggio. Il doppiaggio è dritto, sicuro. Nel doppiaggio per intenderci ogni frase deve concludersi.
Vedendo il film credi realmente a quello che sta succedendo, anche perché la pellicola è partita come un documentario realtà, ma lo abbiamo scoperto dopo. Siamo contenti del lavoro che abbiamo fatto, perché questa esperienza mi sta facendo scoprire una serie di possibilità tecniche e non solo tecniche della sala, degli attori, di me stesso, sto imparando molto. Avanzo addirittura l'ipotesi che questa possa essere una strada alternativa a quelle esistenti, a quelle conosciute per intrattenere le persone, utilizzando un'emulazione italiana di prodotti di particolare pregio, di particolare fattura. Lo credo abbastanza.

Quali sono state le difficoltà, che poi si stanno rivelando delle strategie, nell'impostazione di un lavoro così importante?

Riportare la realtà, l'altra verità, riportarla da dove la vedi, cioè da un pezzo di carta che si chiama copione. È davvero molto difficile. Ho lavorato molte ore per cercare di adattare tutti i dialoghi, tutto è riportato con precisione. Se hai notato, durante le fasi di doppiaggio a cui hai assistito, avevo al mio fianco una persona che mi segnalava i fiati, dove mancavano. Se manca un fiato all'interno di una battuta a un doppiatore non importa, a noi che invece stiamo riproducendo la verità, importa moltissimo. Se ad esempio una battuta drammatica la dici senza prendere fiato, arriva con un finale drammatico e intenso che se prendi fiato non puoi avere. Il fiato è vita, nella verità c'è la vita, nella vita c'è verità. Il resto è fiction, torniamo al punto di prima. Per fare questo non era sufficiente avere a che fare con attori competenti, era necessario lavorare sul fiato, dovevano imparare a prendere fiato allo stesso modo del loro "clone" nel filmato. Io li ho obbligati a fare questo, li ho obbligati anche a cercare i campi, a spostarsi coni il microfono in movimento.
Erano anche obbligati a rispettare i fiati, come un musicista che deve rispettare le pause, le contrazioni, le acciaccature, abbiamo trattato il copione che è fatto di parole, come se fosse fatto di note.

Cosa ci può dire nello specifico di questa forma di doppiaggio?

Ci sono primi piani lunghissimi con un labiale che sembra italiano. Anche questo si trova sempre meno. Credo che questo aspetto venga trascurato un po' troppo ultimamente. Io invece ho la malattia dei labiali, perfetti, integrali, e qui siamo credo che abbiamo raggiunto un soddisfacente attacco di labiale. Non ricordo un labiale che non ci sia, mettiamola così. A maggior ragione se devi emulare una presa diretta. Quindi cosa dovremmo fare? Dovremmo abbassare l'audio, immergerlo il più possibile nell'ambiente perché quando tu sei in presa diretta non hai la voce in fronte, ma l'hai immersa nella situazione, qualcosa si perde. La nostra esigenza, la speranza che coviamo sarebbe vedere questo film in sale attrezzate sonoramente. Perché ci sono sale cinema non attrezzate per fare un film presa diretta italiano. Certe frequenze te le perdi. Questo film è ricco di cose che percepisci, ma non le senti con chiarezza. Sono fatte apposta e noi le abbiamo riprodotte tutte. Nel copione ci sono delle sigle che si chiamano PA1, PA2, PA6. PA sta per Percezione Audio. Abbiamo cercato di riprodurre ogni singola percezione audio, compresa la percezione 1 che è niente, un niente che se togli ti accorgi che non è vero che è niente.

Perché lo percepisci?

Perché lo percepisci. Allora capisci che un determinato suono può voler dire arrabbiatura, preoccupazione o altro. E se lo capisci è perché abbiamo trovato un modo per fartelo percepire, ma se lo togli percepisci che manca qualcosa.