Recensione Jarhead (2005)

Mendes investe questo capitale in una narrativa vigorosa, stratificata e densa che fa di Jarhead un'esperienza non semplice, ma sicuramente appagante e stimolante.

Il deserto dei marine

Molti parlano della ricercatissima ma algida estetica dei film di Sam Mendes come di un difetto; se lo è, è un difetto che il regista britannico persegue con caparbietà e coerenza. Nel suo terzo lungomentraggio, dopo American Beauty e Era mio padre, troviamo la stessa magnificenza visuale, la stessa complessità, la stessa enigmaticità, la stessa freddezza.

Jarhead è tratto dal best seller di Anthony Swofford, che raccontò la sua esperienza tra i marine di stanza in Arabia Saudita durante la Guerra del Golfo del 1991. Il memoriale di Swofford è indubbiamente interessante per la prospettiva insolita che propone, quella di un giovane addestrato alla guerra che ne rivela l'aspetto più moderno e frustrante: l'avvilimento dovuto all'inazione forzata. Diciamo "moderno", perché le tecnologie utilizzate nei conflitti degli ultimi quindici anni hanno amplificato questo aspetto, ma c'è da dire che in realtà nessuna operazione bellica è mai stata (per fortuna) esclusivamente costituita da sparatorie adrenaliniche, missioni suicide, bombardamenti spettacolari, etc., che pure figurano così bene sul grande schermo. Tanto è vero che il sentimento dominante di Jarhead è stato accostato a quello espresso mirabilmente da Dino Buzzati nel romanzo Il deserto dei Tartari, pubblicato nel 1940, molto prima del battesimo delle armi intelligenti.

La rabbia di Swoff è quella di un individuo che crede di avere un destino, che ha liberato un istinto che lo fa sentire forte e spaventoso e inarrestabile, ma si scopre beffato. Perché il nemico non c'è. C'è il sole, il caldo, il deserto saudita, ore roventi da trascorrere scommettendo su insetti combattenti (almeno loro) o scrivendo a una fidanzata che inesorabilmente perde interesse, c'è una guerra che finisce prima ancora che si abbia modo di sparare un solo colpo. Una beffa che distrugge l'amico di Swoff, Troy, e che segna drammaticamente il giovane, dimostrando che il desiderio di combattere ha lo stesso peso dell'effettivo combattimento.
A queste conclusioni il film giunge supportato da ottime intepretazioni - su tutte quella del giovane Jake Gyllenhaal - e dalla fotografia favolosa di Roger Deakins. Mendes investe questo capitale in una narrativa vigorosa, stratificata e densa che fa di Jarhead un'esperienza non semplice, né emotivamente trascinante, ma di certo appagante e stimolante.

Movieplayer.it

3.0/5