Recensione Il prescelto (2006)

Il film sprofonda ben presto nelle sabbie mobili della prevedibilità e del colpo di scena telefonato, mentre le scene che dovrebbero risultare più spiazzanti e disturbanti sfociano nell'umorismo involontario.

Il carnevale dello spaventapasseri

Domanda che sorge spontanea: che cosa è saltato in mente a Neil LaBute, ottimo commediografo, sceneggiatore e regista indipendente autore di pellicole originali e coraggiose come In compagnia degli uomini e La forma delle cose, di passare al genere horror? La prima risposta che viene in mente è: un bel po' di soldi. Considerando che il film è stato scritto esplicitamente per Nicolas Cage, che figura anche come produttore, i pezzi del puzzle cominciano a ricongiungersi. Ad aggravare le cose, LaBute ha scelto di realizzare la sua prima pellicola non originale cimentandosi nel remake di un piccolo gioiello dell'horror anni '70 oggetto di culto per molti appassionati: The Wicker Man di Robin Hardy. La trama è presto detta: l'agente Edward Malus viene contattato dalla ex-fidanzata che vive a Summersisle, un'isola sperduta del Pacifico settentrionale, perché aiuti la donna a trovare la figlia scomparsa da due settimane. Edward si reca sull'isola dove entrerà in contatto con una società di stampo matriarcale dominata da rigide regole e dedita a riti religiosi di stampo pagano.

Neil LaBute sceglie la via del cambiamento allontanandosi dal film originale in molti aspetti: bandito immediatamente ogni riferimento alla dimensione religiosa e ai riti orgiastici che occupavano ampiamente la pellicola del 1973 e, con essi, tutto il sottotesto politico, la comunità che occupa l'isola diviene una sorta di matriarcato che ha scelto di isolarsi volontariamente dalla società contemporanea per continuare a perpetrare indisturbata i propri riti propiziatori. Metafora di questo dominio tutto al femminile (gli uomini vengono esplicitamente accolti nell'isola solo per scopi riproduttivi), è il gigantesco alveare in cui si struttura Summersisle, al cui centro si trova una sorta di curiosa ape regina interpretata da Ellen Burstyn che, nei panni di sorella Summersisle, sostituisce, non senza rimpianto, il mefistofelico Christopher Lee dell'originale. Depauperato di tutti gli aspetti tematici salienti, il fulcro del film diviene così la guerra tra i sessi, fondamento di tutta la precedente produzione labutiana che purtroppo, in questo specifico caso, viene declinato in maniera assai infelice pescando negli stereotipi più grevi e più banali del caso (vedi il lungo confronto tra Nicolas Cage e Ellen Burstyn in cui viene spiegato ben più del necessario).

La questione cruciale non riguarda, però, tanto i problemi dell'adattamento e la fedeltà nei confronti dell'originale, quanto il genere a cui la pellicola di LaBute appartiene (o "dovrebbe" appartenere). Se il primo The Wicker Man era un originale horror diurno, qui possiamo ancora parlare di diurno, ma è il termine horror che si applica con una certa difficoltà. Dopo un incipit brillante, il film sprofonda nelle sabbie mobili della prevedibilità e del colpo di scena telefonato, mentre le scene che dovrebbero risultare più spiazzanti e disturbanti sfociano nell'umorismo involontario e la colpa non può essere attribuita esclusivamente alla recitazione strampalata del povero Nicolas Cage perché la stessa Ellen Barkyn, nei panni della matrona dell'isola, assume spesso un piglio quantomeno imbarazzante. Così l'atmosfera inquietante e misteriosa alla The Village dell'inizio cede ben presto il posto alle carnevalate che polverizzano ogni residua tensione, e la conclusiva strizzata d'occhio allo spettatore del post finale non lascia alcuna speranza per il futuro.
L'incubo potrebbe ripetersi.

Movieplayer.it

2.0/5