Recensione 28 settimane dopo (2007)

Fresnadillo ripropone gli elementi che avevano caratterizzato 28 giorni dopo e vi accosta una dinamicità ed una fisicità maggiori, a tratti deliranti ed incontrollabili, nella descrizione di fughe, lotte e carneficine di vario tipo.

Il bacio del Neo-zombi

28 settimane dopo inizia più o meno dove ci aveva lasciato Danny Boyle col capitolo precedente. Il virus, l'inarrestabile contaminazione, la paura, l'incapacità di salvare chi si ama; dopo un buon intro incalzante un flashforward di alcuni mesi ci porta nell'East End londinese ripulita dall'epidemia e ricostruita dalle squadre speciali NATO e ora monitorata giorno e notte dall'esercito statunitense. Niente di più facile, i presupposti per un sequel c'erano tutti ed in questo caso anche con ragioni più accettabili di quelle proposte da altri progetti analoghi (che nascono, si direbbe, con l'unico fine di palesare il letargo di una consistente fetta di produzione horror, animata unicamente da remake e seguiti improbabili ed inutili).
Intenti accettati dunque - quanto il meccanismo alla base dello script per un possibile ritorno del virus altrimenti destinato ad estinguersi da solo - basta poco per notare quale sia la principale differenza tra questo film e il suo predecessore; la strada battuta dalla produzione è ben diversa da quella percorsa da 28 giorni dopo, il budget a disposizione si impenna e se ne guadagna in spettacolarità. Ma se uno dei punti forti del film di Boyle era proprio una certa essenzialità (dovuta evidentemente non solo alla minore disponibilità economica), torna un po' difficile credere che una rinnovata esibizione di mezzi possa bastare a soddisfare lo spettatore, eccezione fatta forse per gli amanti degli armageddon cinematografici.

Così è, scene apocalittiche ed esplosioni devastanti (di quelle che emozionano nei trailer, ma poi...), poco servono a rendere questo film interessante. Per fortuna alle presunzioni produttive, quelle legate ad un progetto pensato principalmente per il mercato home video, si accosta la scelta di Boyle di affidare a Juan Carlos Fresnadillo la direzione del set. Il regista spagnolo ripropone gli elementi che avevano caratterizzato 28 giorni dopo, soprattutto per quel che riguarda l'impianto tecnico e la sperimentazione del digitale ad accompagnare la pellicola, e vi accosta una dinamicità ed una fisicità maggiori, a tratti deliranti ed incontrollabili, nella descrizione di fughe, lotte e carneficine di vario tipo. Ed in questo senso, anche se non sempre convincente e brillantissima per quanto coerente con la sinossi, la regia è senza dubbio l'elemento migliore insieme al credibile cast d'attori.

Peccato che tutto questo non basti ad elevare il film oltre il livello di mediocrità di tali produzioni. L'entusiasmo e l'adrenalina si smorzano presto, di emoglobina ne zampilla abbastanza da strappare più di un sorriso agli amanti dello splatter, ma comunque si è visto di meglio. I difetti della scrittura sono duri da smaltire, nei dialoghi soprattutto si avverte una frettolosità ed un didascalismo da produzione tv che si eviterebbero volentieri. Buchi di sceneggiatura e questioni interessanti come l'evoluzione del virus, il possibile vaccino, le psicologie dei protagonisti (il bel personaggio di Catherine McCormack su tutti, sopravvissuta dal bacio funesto) e il dualismo amore e morte, lasciate puntualmente irrisolte, potrebbero non risultare un difetto quanto semmai un segnale della forte negatività di cui è impregnato questo film, della sfiducia e del pessimismo che trasmette, o potrebbe trasmettere se solo venissero sfruttate. Invece restano solo potenziale abbozzato, spunti interessanti schiacciati dal più importante impatto visivo e dal moralismo che scorre per tutta la durata del film (con tanto di riferimento all'attuale conflitto del Golfo, per chi ce lo vuole leggere); magari con un po' di fortuna saranno riciclati in un non troppo improbabile "28 anni dopo".