Recensione Dumplings (2004)

Nonostante la struttura narrativa del film abbia qualche legame con il genere horror, il film di Chan in realtà si sviluppa in modo da offrire allo spettatore un'inquietante riflessione sulle torture che si autoinfligge chi non riesce ad accettare serenamente e con sicurezza gli anni che passano.

I ravioli di Dorian Gray

Farina, zenzero fresco, verdure tritate e preziosa carne umana: questi sono gli ingredienti dei costosissimi ravioli della sensuale zia Mei, in grado di offrire l'eterna giovinezza. Zia Mei - come la chiamano nel fatiscente condominio in cui vive - ha più di sessant'anni, ma ne dimostra meno di trenta; si muove sicura ed esperta nella sua piccola cucina, tra gli utensili e gli ingredienti, per offrire a Ching, una ex attrice alquanto mediocre e sua cliente, una pelle di nuovo tonica ed elastica, ed un viso liscio, privo di rughe.

Diretto da Fruit Chan e presentato nell'ambito della 55esima edizione del Festival di Berlino, Dumplings è una versione ampliata di un episodio omonimo di Three... extremes - seguito di Three, accattivante trilogia di horror asiatico - e si presenta come uno squisito equilibrio tra riflessione ed intrattenimento, reso più armonioso da un pizzico di ironia, la splendida fotografia di Christopher Doyle, ed una nota di piccante sensualità che si deve soprattutto ad un'incantevole e brava Bai Ling, che di quest'edizione della Berlinale è stata anche membro della giuria, oltre che piacevole rivelazione.

Nonostante la struttura narrativa del film abbia qualche legame con il genere horror, il film di Chan in realtà si sviluppa in modo da offrire allo spettatore un'inquietante riflessione sulle torture che si autoinfligge chi non riesce ad accettare serenamente e con sicurezza gli anni che passano, e paragona la smania di conformarsi a degli ideali di bellezza riconosciuti dalla società ad una vera e propria lotta per la sopravvivenza: a Ching che inizialmente è in preda ai rimorsi ed allo schifo per i suoi sostanziosi e frequenti pasti, Zia Mei ricorda tra le altre cose, che non si sarebbe sopravvissuti a tante guerre se non si fosse praticato il cannibalismo. Ching, costretta a combattere contro le rughe, contro una ragazza più bella e più giovane che le ha soffiato il marito, e contro l'oblio verso il quale lei, attrice di scarse qualità recitative, è destinata ad andare inesorabilmente incontro; dopo le iniziali e comprensibili perplessità, non solo accetta di mangiare ravioli ripieni di feti umani, ma chiede qualcosa di più potente, qualcosa che la faccia ringiovanire più in fretta e con risultati più immediati e soddisfacenti.

Notevole è il modo in cui è stato reso il ringiovanimento dell'ex attrice, non in modo posticcio ed eccessivo, ma graduale, quasi impercettibile; non solo estetico, ma anche caratteriale: un pasto dopo l'altro Ching diventa sempre più sicura di sè ed affascinante, ma la sua bellezza, che si nutre principalmente delle miserie altrui, diventa un mostro invisibile che mai sazio, chiede ancora carne e sangue. Nonostante la vicenda narrata sia particolarmente disturbante però, non si pensi a Dumplings come ad un qualsiasi splatter: la splendida fotografia di Christopher Doyle illustra con eleganza, colore ed uno stile impeccabile l'evoluzione di questa moderna Dorian Gray, la sua disperata fame di bellezza nonchè la sensualità della sua cuoca e del cibo. In conclusione un film interessante e ben calibrato nelle sue componenti tecniche e narrative - molto apprezzato dal pubblico della Berlinale - che si concentra su una problematica attuale e dalle prospettive inquietanti.

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4.0/5