Horror Day 2006: una giornata con pochi brividi

L'appuntamento con l'horror del Far East Film conferma uno stato di impasse del genere nelle cinematografie asiatiche.

Appuntamento fisso, e sempre molto atteso, del Far East Film Festival, quest'anno la giornata dedicata all'horror orientale ha confermato uno stato di impasse del genere nelle cinematografie asiatiche, in bilico tra la riproposizione di cliché rapidamente divenuti stantii e un nuovo corso che stenta a decollare.

Una prova perfetta della prima tendenza, che si è tradotta in uno sconfortante vuoto contenutistico nonostante l'impeccabile confezione, l'ha data l'hongkonghese The House, storia di una casa infestata che ha strappato sbadigli più che brividi. Un'elegante fotografia accompagna una storia già vista che sembra un incrocio mal riuscito tra gli usuali modelli di Ju-On: Rancore e Dark Water: madre e figlia vanno ad abitare in un fatiscente palazzo alla periferia della città, e immediatamente strani eventi iniziano a verificarsi, legati immancabilmente alla tragica storia dei precedenti proprietari.

Una sostanziale mancanza di fantasia ha caratterizzato anche The Heirloom, unico film taiwanese visto al Far East, che oltre a offrire una buona dose di (gratuiti) salti sulla sedia e una confezione modaiola, sembra occhieggiare i recenti horror dello spagnolo Jaume Balaguero: una contaminazione di luoghi comuni che difficilmente poteva produrre qualcosa di positivo. La trama, che narra di un'enorme dimora ereditata dall'architetto James Yang, e dei misteri che iniziano a concentrarsi attorno ad essa (e alla storia familiare del proprietario), è appesantita da una meccanica spiegazione a metà film, mentre la regia si caratterizza per la ripetitvità e l'assenza di inventiva.

Poteva essere interessante, sulla carta, l'idea alla base di Beneath the Cogon, film filippino che mescola horror, gangster movie e love story ricalcando un po' il modello del tarantiniano Dal tramonto all'alba: un colpo in banca, due gangster che fuggono, il tradimento, l'approdo in un luogo maledetto con un segreto in esso sepolto. Purtroppo però il film (girato in digitale e proiettato in un poco attraente formato beta) non raggiunge l'equilibrio necessario tra le sue componenti, ed è proprio il suo "cuore" horror a risultare banale e poco incisivo.

Da lodare, anche se con risultati altalenanti, il tentativo del thailandese Ghost of Valentine, che mescola orrore e melodramma riprendendo l'antica leggenda popolare del krasue, il fantasma che di notte si stacca la testa e le viscere per volare in cerca di placente da mangiare. L'entità mostrusa è qui impersonata da una ragazza, inconsapevole della sua reale natura, che dovrà scoprire l'origine del suo stato, legato al concetto buddista di retribuzione karmika. Il film offre buoni momenti di tensione e partecipazione emotiva, ma scade sovente in parentesi grottesche poco in tono col resto del film.

Non c'è molto da dire sul thailandese Art of the Devil 2, violentissimo remake del suo predecessore, come quest'ultimo caratterizzato da un'estetica sciatta e programmaticamente disturbante, mentre più interessante è apparso Voice, quarto episodio della serie coreana intitolata Whispering Corridors (di cui si ricorda soprattutto lo splendido secondo capitolo, conosciuto come Memento Mori). Il film, storia al femminile ambientata in un liceo, caratterizzata dalla continua interazione tra vivi e morti, e incentrata sul dolore di entrambe le condizioni, soffre un po' della macchinosità dell'intreccio e di alcuni passaggi non narrativamente chiarissimi, ma è caratterizzato da una buona atmosfera di mistero e da un'estetica elegante e funzionale al racconto.

Nota di merito per i curatori della rassegna che hanno voluto inserire l'hongkonghese The Imp, classico datato 1981 e ancora oggi realmente disturbante. Il film, storia di fantasmi e possessione che ha per teatro un centro commerciale, offre diversi momenti shockanti ed è caratterizzato da una sottile atmosfera di angoscia, che oltre ad occhieggiare alcuni classici statunitensi (viene in mente a tratti il polanskiano Rosemary's Baby - Nastro rosso a New York) rimanda spesso ad alcuni indimenticati esempi di horror italiano, specie ai migliori horror diretti dal compianto Lucio Fulci.