Recensione Mulholland Drive (2001)

Mulholland Drive contiene tutti gli elementi tipici del cinema di Lynch e la classica atmosfera onirica che ha reso celebre il regista.

Hollywood ai piedi di Lynch

Normalmente una delle condizioni necessarie per recensire un film dovrebbe essere quella di averlo capito a fondo: trama, intreccio, simbolismi. Una chiara eccezione a questa regola è rappresentata solitamente da tutti i film di David Lynch, e di conseguenza da Mulholland Drive che può tranquillamente essere considerata la sua Opera Omnia, visto che contiene tutti gli elementi tipici del suo cinema e la classica atmosfera onirica che l'ha reso celebre.

Tutto il film, che parte in modo insolitamente lineare per poi convergere in un labirinto di flashback e immagini apparentemente sconnesse, è in realtà un'unica grande metafora sul cinema e sul mito di Hollywood, con citazioni più o meno velate a capolavori recenti quali Magnolia o Pulp Fiction, entrambi film corali ambientati nella città degli angeli, ma con la differenza che il film di Lynch ha una sua protagonista indiscussa: la Diane/Betty interpretata magistralmente da Naomi Watts, che permette a Lynch di parlare di erotismo e sogni, amori non corrisposti e infedeltà, realtà e finzione.

E' attraverso la storia di Betty che viviamo una lunga parabola sul cinema e sull'amore, accostati in maniera esemplare in un plot costruito come un rebus; tutta la prima parte del film propone, infatti, uno svolgimento lineare e dei presupposti che la seconda spazzerà via.
Così come verranno spezzati via i personaggi che avevamo cominciato ad amare tramutandosi in una versione meno candida di sé stessi, così come i sentimenti di amore, amicizia, lealtà che avevano popolato una Hollywood da "film" lasceranno spazio a tradimenti e vendette.

Mulholland Drive è una perfetta sintesi della settima arte, un'opera in cui finzione e realtà, sogno e veglia si mescolano e si fondono, come nella splendida sequenza del night club in cui il regista sembra quasi divertirsi a prendersi gioco degli spettatori.
Ma in fondo un po' tutto il cinema di Lynch sembra essere un continuo gioco tra regista e pubblico, un gioco a carte scoperte ma in cui le regole non sono mai ben chiare e in cui non ci sono veri vincitori se non il Cinema stesso, quello con la c maiuscola.

Movieplayer.it

5.0/5