Recensione Ho visto le stelle (2003)

Giunto al suo quinto film, Vincenzo Salemme, eccellente attore teatrale, inventatosi regista, prosegue per la sua strada con un prodotto medio, poco esaltante, ma godibile e divertente se non si eccede in aspettative

Ho visto Totò

Il "favoloso" terzetto italiano che gareggerà per sbancare gli incassi natalizi di quest'anno conta degli altisonanti nomi di Pieraccioni, Neri Parenti e Salemme. A scanso di equivoci, ci sbilanciamo immediatamente, sostendendo che tra i tre film quello di Vincenzo Salemme è il migliore, semplicemente perché è il più gradevole, il più frizzante, il più sognante e il meno volgare.

Detto questo, torniamo alla realtà per costatare come il livello medio sia decisamente basso nei risultati, ma soprattutto nelle intenzioni. Il dover omaggiare questi film e il dover retoricamente affidargli la nostra fiducia, per risanare il nostro cinema (entità che ammetto di non aver sentito mai come mia), è un triste sintomo della povertà qualitativa delle nostre pellicole.

Ma torniamo al film. Giunto al suo quinto film, Vincenzo Salemme, attore e autore teatrale, inventatosi da qualche anno regista, prosegue per la sua strada con un prodotto medio, poco esaltante, ma godibile e divertente se non si eccede nelle aspettative. Le coordinate sono evidenti e trasudano cultura partenopea da tutti i pori. Il cinema di Salemme, cresciuto alla corte del grande De Filippo e imbevuto della migliore tradizione teatrale italiana, è la riattualizzazione di quello di Totò e Peppino e purtroppo di molto poco d'altro (se poi l'altro è l'inserimento dell'abusata riflessione sui reality show, alla The Truman Show, meglio non provarci proprio). La coppia inseparabile Salemme-Casagrande è obiettivamente divertente, meno il cast di supporto, che oltre a sfoggiare la bellissima modella russa Alena Seradova, vede un ripetitivo Claudio Amendola, in una parte comunque adatta a lui. Ad ogni modo, durante la visione, si è di sovente sollecitati dal sospetto che Salemme mortifichi un talento purissimo a favore di una comicità che, seppure a volte sottile e gradevole, appare troppo facile e poco rischiosa.

Ad eventuali critiche del genere, il regista napoletano risponde preventivamente sostenendo che i meccanismi della comicità, come la farsa e l'equivoco, sono sempre gli stessi e che le modalità del ridere non mutano di molto nei tempi. Argomentazioni valide, ma anche in qualche modo autoassolventi, specie da un artista che di talento ne ha e che è reduce dallo spettacolo teatrale che più ha incassato nella storia del teatro italiano (cinque miliardi con Cose da Pazzi).

La speranza è che Salemme provi a fare il salto di qualità che fece Benigni con quel capolavoro che fu la La vita è bella, auspicio che non azzarderemmo mai nel caso dei Vanzina o di Neri Parenti, e questo è un fatto.